Per celebrare l'anniversario la storica band napoletana ha preparato una sorpresa per i fan: pubblica il remaster di questo indimenticabile disco con in più due singoli inediti ritrovati nell’archivio, uno dub prodotto da D.raD. e uno strumentale mixato da Adrian Sherwood
Nello stesso giorno in cui il Governatore Vincenzo De Luca annuncia la chiusura della Campania (tutto sul coronavirus) una delle sue band più rappresentative, gli Almamegretta, ripubblicano il loro album più amato, quel Sanacore che in questo 2020 celebra i suoi 25 anni di vita. Il disco in versione remaster sarà disponibile in versione fisica (doppio vinile colorato a 180 grammi con copertina gatefold e booklet di 4 pagine o CD digipack con booklet di 20 pagine), sulle piattaforme streaming e in digital download. Negli anni la scrittura della band si è evoluta ma Sanacore è rimasto una pietra angolare, anche perché è protagonista di un decennio di grandi movimenti.
Oggi più che mai c’è bisogno di Sanacore (curare il cuore, ndr).
C’è un problema di grande tristezza, le notizie non sono confortanti. Ci sono interi reparti posotivi, se non lo blocchiamo almeno negli ospedali è la fine. Il rischio è deprimersi, il sistema immunitario risente della depressione quindi acquistate Sanacore come pre-vaccino.
In voi brucia lo stesso fuoco di 25 anni fa?
La voglia di suonare c’è sempre. A volte va di più altre di meno, la cosa che vorremmo fare di più è lavorare, comporre…non poter fare la sola cosa che uno sa fare è come se ti tagliassero un braccio.
Che mi dite dei due inediti? C’è altro nei vostri archivi che può essere proposto?
L’accesso all’archivio lo teneva Stefano. I due inediti sono l’inizio della pre-produzione quando lavorandoli ci siamo accorti che appartenevano a quel mood e siccome volevamo fare una cosa completamente diversa dall’originale per non rischiare la brutta copia li abbiamo promossi. Riascoltandoli abbiamo capito che è stato giusto inserirli perché la loro atmosfera è sanacoresca.
Emotivamente che effetto vi ha fatto rimettere mano su quel repertorio?
Lo abbiamo sempre tenuto vivo perché nei concerti sono i bis, resta l’album più rappresentativo. Abbiamo capito che è come se vivesse una vita propria, è staccato da noi, è cristallizzato in quel momento anche se i testi restano freschi. Ci siamo ributtati nell’atmosfera di quel tempo a Procida. Una esperienza così è irripetibile perché oggi sarebbe andato tutto attraverso gli mp3. Lì abbiamo condiviso anche fisicamente l’emozione della creazione. Ci ha fatto riflettere su come fare un disco oggi. Lo smart working lo rende ancora più attuale perché certe cose fisiche, umane non le fai perché ti è impedito e non per scelta.
Riascoltare Ruanda oggi vi dà un senso di impotenza?
E' un pezzo molto simbolico, era una guerra lontana tra tribù di cui non conoscevamo l’esistenza finché non ne abbiamo visto in televisione i massacri. Anche i loro temi sono a noi incomprensibli. In Nigeria manifestano contro il corpo speciale della polizia ma qui se ne sa ben poco. Poi quando Osimhen dopo un gol ha mostrato la maglietta con scritto stop alla violenza della polizia in Nigeria se ne è parlato di più. Ma in generale non è cambiato molto.
Rolling Stones mette Sanacore tra i 100 dischi italiani più importanti di sempre.
Ci aggiungiamo che Nun te scurdà è stata annoverata trai classici della canzone napoletana classica. Una cosa inaspettata per noi.
Vi considerate pionieri della fusion mediterranea?
Ricordiamo che la prima volta che abbiamo mandato provini in Polygram ci hanno detto che sembravamo Mario Merola su una astronave e non avevano tutti i torni. Abbiamo cantato una Napoli con elettronica, con influenze arabe, si andava più a Oriente e a Sud di Napoli. Non facevamo nulla di nuovo per l’epoca era la musica che ascoltavamo, a Londra si faceva. Lì la presenza di immigrati era massiccia, qui erano ancora indizi e tutto doveva arrivare. Servivano le antenne dritte per capire che una cultura meticcia e bastarda sarebbe stata il futuro dell’umanità. Altre nazioni tipo la Francia ha avuto influenze dall'Algeria e dall'India. In Italia abbiamo fatto solo una occpuazione un po’ di ridicola nel Corno d’Africa. Per noi è cambiato quando il Regno di Sardegna e Piemonte occupa il Sud: abbiamo usato la lingua e la melodia di quello che ricordavamo. Non siamo musicisti tradizionali, ci siamo avvicinati alla tradizione dopo, in seguito abbiamo studiato la tammuriata. Siamo immigrati di noi stessi. E ciò ci ha consentito di avere personalità specifica: il napoletano con melodia mediterranea ci ha dato una marcia in più.
Almamegretta oggi si sentono elementi di un mondo nel quale musicalmente non si riconoscono?
Rap e trap sono figli nostri anche anagraficamente. Senza il nostro esperimento e della nostra generazione non ci sarebbe questa roba. Noi alludevamo a rap e hip hop. I ragazzi hanno sviluppato l’uso della lingua. Forse manca un po’ la varietà e c’è troppo cinismo. Noi pensavamo di cambiare il mondo, raccontavamo cose che avevamo la presunzione di avere percepito. Il successo è legato anche al mondo che gli adolescenti stanno vivendo, si fatica a comprendere i valori delle nuove generazioni. Quando sei molto giovane e hai delle utopie è naturale e sano volere cambiare il mondo, se non hai quell'ambizione è triste. L'utopia fornisce l'entusiasmo necessario per cambiare la vita.
Che resta dei Figli di Annibale?
Promuovevamo la coesistenza prendendo il dialetto di Malcon X poi ripreso da Spike Lee in Fa la cosa giusta. Quando pensavamo a quella cosa lì ci facevamo promotori della coesistenza delle diversità. Anche i politici contrari non possono evitare lo tsunami, devono organizzarsi. Per noi coesistere è ricchezza. Non esiste vita senza problemi, vanno affrontati.
Covid permettendo prevedete un tour?
Era già pronto per la primavera come accadde nella primavera del 1995. Tutto è saltato. Abbiamo organizzato un tour ad aprile e sono aperte le prevendite. Siamo fiduciosi, sarà particolare, a ogni data ci saranno ospiti. Sarà una festa.