Artista tra i più completi del panorama italiano, in questo suo album racconta il mondo che è. Nell'intervista descrive il mondo che vorrebbe e come combatte per renderlo reale
La frase con la quale inizia la nostra chiacchierata è illuminante per...illuminare Vincenzo Incenzo: "E' compito della creatività esserci in questi momenti". Il suo album Ego è un viaggio attraverso una paese che fatica a considera suo ma dal quale non intende allontanarsi. Appartenenza, senso di responsabilità, politica velata, contatti umani sono le linee guida di un lavoro che, canzone dopo canzone, ci stimola a guardarci allo speccio e a prendere cosapevolezza di chi siamo e di chi dovremmo essere.
Come si riesce a umanizzare l’Ego?
Restituendogli il significato primario che non è quello di oggi basato su eccessi e narcisismo. E’ un regolatore tra istinto e parte sociale. E’ fondamentale per la centralità della persone, sempre più ci nascondiamo dietro una grammatica fatta di numeri e folla. Tutti sembrano protagonisti con l’edonismo dei social ma in realtà siamo parte di una globalizzante avventura. Tratto l’Ego come elemento di ponte tra istinto e ragione, pubblico e privato. Oggi si perde il senso di appartenenza e si tende a delegare.
Parli di delegare le scelte: quale è stata la scelta più importante della tua vita?
Credo di averla fatta a 22 anni con la laurea: pressato dalla famiglia dovevo fare domanda nelle scuole. Ho preparato 40 moduli e poi visto ho bidone della spazzatura e li ho lasciati lì: quel percorso non mi apparteneva. Subito dopo la laurea ho fatto le prime collaborazioni con Michele Zarrillo e Tosca, quindi mi ritengo fortunato.
Ce ne è una che non rifaresti?
Ho fatto errori non inserendomi appieno nel mondo discografico. Ho ricevuto proposte di esclusive discografiche ma per seguire un ideale di libera scrittura ho sempre detto no. Mi dico che ho sbagliato ma se mi ritrovassi in quella situazione farei la stessa scelta.
In Allons Enfants parli di sdoganamento della mediocrità: perché non ci assumiamo più responsabilità?
La scelta comporta angoscia e preoccupazione, non abbiamo più termini di confronto. Tutto è labile, tutto è liquido e non c’è esperienza. Qualunque scelta non ne conosciamo gli effetti. I nostri genitori sapevano che a determinati sforzi succedevano dei risultati. Oggi tutti sono tutto e c’è confusione, si perde il talento e lo sforzo può non portare nulla.
Non ti senti crudele ha dire che l’amore ha un nome solo? Chi si è costruito più volte?
L’illuminazione totale arrivi una sola volta. La mia è una provocazioni. A volte le seconde famiglie sono migliori. Ognuno di noi ha due amori: quello del compromesso meraviglioso col quale compri casa e fai dei figli e quello col quale chimicamente non ci siamo collegati ma che ci segue tutta la vita. Sostengo la fedeltà a se stessi e alle idee. Tutto ciò si è perso, anche la politica e la parte dalla quale stiamo ha un solo nome. Servirebbero boe in questa tempesta che è la vita.
Non siamo liberi perché la politica e la finanza ci governano meglio o perché non vogliamo noi?
C’è una responsabilità nostra molto forte. C’è sempre l’attesa del salvatore nella storia del nostro paese. Ci sono lo scarico di responsabilità e la gestione costante della speranza. Ci siamo tolti da soli il diritto di parola per ascoltare dieci opinionisti come se da loro dovesse arrivare qualunque spiegazione. E’ un atteggiamento vile di scarsa partecipazione alla vita.
Raccontami del tuo rapporto con Roberto Saviano.
Stavo scrivendo Un’altra Italia. Un giorno chiamo Marco Travaglio e gli parlo della canzone dicendogli che dovrebbe ascoltarla Saviano. E’ nata su cose che ha letto di lui, lui che difende la posizione anche quando viene attaccato volgarmente sui social. E’ interessante la cronologia: la giro a travaglio, lui la gira a Roberto che mi risponde dopo cinque minuti dicendo che si è commosso. La sua risposta immediata e appassionata mi ha convinto a finire il brano, temevo di cadere nella retorica.
Ti senti un eretico? Qual è l’inquisitore che più temi?
Il pericolo si chiama pensiero unico che da qualche parte qualcuno sta coagulando e ci trova senza risorse immunitarie, andiamo verso derive pericolose. Temo l’igienizzazione del pensiero, della parola, l’esaltazione del politicamente corretto. Basta un nulla per offendere qualcuno. Vorrei tornassimo a contagiarci di più col fattore umano.
Parlami del tuo Sud America.
Una esperienza partita come una scommessa. Ho compilato un modulo per andare in Colombia a Pasto per il carnevale. E’ una piccola città nel Nord con una grande attività culturale. Ero il solo italiano con la mia band. Ho stretto rapporti belli, mi hanno proposte date a Cali, Barranquilla e Cartagena. Ho preso contatti per il Cile. Ho avviato una collaborazione con Carlos Vives che lì è una icona, una collaborazione fermata dalla pandemia. In quelle terre ho trovato una anima diversa, c’è meno convenzione. In Itali non ci sarebbe mai il “detto e fatto” con una superstar italiana. Ego uscirà anche in lingua spagnola.
Se decidessi di fuggire dove andresti?
In America Latina perché sono cresciuti amicizia e rapporti umani. Mi trovo in una situazione molto famigliare. Amo quella cultura e quel mondo, è l’Italia dei nostri nonni dove il fattore umano e la collaborazione sono il primo elemento. Si creano identità umane profonde e ricche anche negli scontri di forze.
I tuoi prossimi mesi come saranno?
Ho identificato posti che possono ospitarci per dei live: per ora Roma, Milano, Napoli e Genova a ottobre e con tutte le misure del caso. Verranno anticipati da un concerto in streaming il 2 o il 3 ottobre.
Che pensi dello streaming?
E’ bello perché ti porta dove non puoi andare, tipo i backstage. E’ uno spettacolo comunque nobile. Penso anche ai seminari online dei gradi attori americani. Ma la fisicità del concerto è insostituibile. Dopo tanto virtuale tornerà vitale il contatto fisico. Vivere comporta qualche rischio: quanta è alta la percentuale di rischio col fumo e col traffico? La musica deve anche sapere osare!