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Coldplay vs Muse, ecco perché scelgo i Coldplay

Musica

Chiara Piotto

A 20 anni dall'uscita del loro album di esordio 'Parachutes', preferisco la band di Chris Martin a quella di Matthew Bellamy perché hanno saputo rimanere se stessi, fluttuando tra i generi musicali e accettando il rischio di essere etichettati - superficialmente - come "commerciali"

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Dopo vent'anni di musica, 15 album pubblicati, decine di singoli diventati tormentoni, non è facile scrivere una top 5 dei Coldplay. Ma dopo attenta riflessione, ecco la mia:
  1. Fix You
  2. The Scientist
  3. Paradise
  4. Strawberry Swing
  5. Yellow

La poesia, il ritmo, la capacità di farti astrarre dal momento, in queste cinque canzoni c'è tutto quello che mi piace in un gruppo. Ed è il primo motivo per cui - a 20 anni dall'uscita del loro album di esordio "Parachutes" - preferisco i Coldplay ai Muse: la grande flessibilità, che consente loro di giocare e mescolare vari generi rimanendo se stessi. Qualcuno li accusa di essere troppo commerciali, di fare l'occhiolino alle hit estive, ma un gruppo pop deve saper fare anche questo. Non ci vedo nulla di sbagliato nel seguire o anticipare le tendenze: non è da tutti farlo senza rinunciare a un'identità riconoscibile, e loro in questo sono maestri.

Messaggi universali, da Fix You a Paradise

Il secondo motivo per cui preferisco i Coldplay ai Muse è la capacità di parlare direttamente a chi li ascolta, di comunicare un messaggio che suona universale. In Fix You cantano "When you get what you want but not what you need" e ti ci fanno sentire dentro, coinvolto, desideroso di proteggere o di essere protetto. Per me, è l'equivalente britannico della Cura di Battiato. Ma riescono a farti immedesimare anche nei testi delle canzoni più pop e radio-friendly, come Paradise: "When she was just a girl she expected the world, but it flew away from her reach and the bullets catch in her teeth".

©Getty

Vicini al pubblico, spontanei

Infine amo i Coldplay perché non si risparmiano, ma si gettano con gioia tra le braccia del pubblico che li ama da vent'anni. Durante la pandemia hanno più volte partecipato a iniziative benefiche per raccogliere fondi, come il 'Global Goal'. Certo, se risultano così comunicativi molto devono al frontman Chris Martin. Non solo perché è un grande performer, un animale da palco. Ma perché è rimasto genuinamente se stesso, eccezionale ma non irraggiungibile. Penso a quando ha duettato con due giovanissimi fan-violinisti durante il lockdown. Me lo immagino così, nella vita reale: uno con cui berresti volentieri una birra il giovedì sera. Che se lo inviti a casa e gli dici di portare le pizze non si scompone, e accetta di mangiarle scalzo davanti al divano.