Ezio Bosso, un gigante nella sofferenza

Musica

Franco Ferraro

La commozione, le riflessioni sulla musica ma anche sul senso di esistere. Ecco così scrisse il caporedattore di Sky Tg24 Franco Ferraro dopo aver visto per la prima volta dal vivo il grande pianista, scomparso a 48 anni. Era proprio in occasione di quell’esibizione sul palco dell’Ariston con cui conquistò i cuori di tutti gli italiani

Prendo lezioni di musica da qualche tempo. Il mio maestro dice che sono portato, ma anche che non mi esercito. La musica è sempre stata un pezzo della mia vita, colonna sonora delle gioie e delle sofferenze, delle rinunce e delle resurrezioni. Springsteen, Van Morrison, Coltrane, Nick Drake, Crosby, Stills, Nash&Young, Marvin Gaye, e potrei andare avanti per ore. Poi, ieri sera, ho visto e sentito Ezio Bosso. Mi sono commosso fino alle lacrime. "La musica è sogno" dice il liutaio di Daniel Auteuil nel bellissimo Un cuore in inverno. E io ieri sera ho sognato di essere padrone della musica, di me stesso, del mio stesso sogno, ingoiato nell'estasi dolorosa e gigante di quell'uomo consegnato al buio del corpo e che al buio ha dato luce e musica e il senso di esistere, per essere accecato - il buio - dalla forza dell'amore.

Le sue mani sul piano erano un unguento sulle sue (e le mie) ferite, ogni tocco le restringeva, ne cauterizzava il solco. Quel suo sguardo rapito ipnotizzava la fatalità, ibernava il destino, schiacciava la didattica della malattia. Quello sguardo abbracciava tutti noi, stupidi e banali, e ci raccontava che la vita non è rassegnazione, ma lotta, anche quando i muscoli grondano anarchia e terrore, tensione e dolore, e la parola evita il deragliamento, in un miracolo fonetico ricco di energia e di fascino, tanto che se adesso parlo io sembro un doppiatore del silenzio, così povero e nudo. Guardavo Bosso e passavo in rassegna la mia vita, Dio come sarebbe stata bella se oggi avessi ancora con me mio padre. E mi consegno a questa umana lamentazione ignorando la sofferenza di questo gigante sorridente e imprendibile, imprevedibile, geniale, quasi spudorato nella sua esaltante spontaneità. E lo vedi affacciato sull'abisso, se non lo sentissi parlare, un tuono di toni, e non lo sentissi suonare, un abbraccio di note. Per Dio che meraviglia. Che libera passione, che lussureggiante giardino dell'anima. Penso che persino Tolstoj rivedrebbe quel suo: "La musica non eleva né abbassa l'anima: la esaspera".

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Quella di Bosso è un'armonia euforica, redenzione per ogni anima al guinzaglio delle stupidaggini quotidiane, antidoto alla solitudine, lavaggio dei piedi delle tante finte malattie. È un viaggio musicale per diventare padrone del suo dolore, ogni dito accarezza quella tastiera che lo aspetta paziente e lucida di rispetto. Ogni tasto potrebbe essere ferita, non lo è. Ogni nota potrebbe essere delirio, invece è di una bellezza straziante. È la volontà che chiede strada, e non si ferma al casello della tristezza. E io guardo la mia chitarra, appoggiata due sospiri oltre il divano, e guardo Ezio Bosso. E penso che aveva ragione Henri Amiel quando, in Frammenti di un diario intimo, scrive che: "La somma dei dolori possibili per ogni anima è proporzionale al suo grado di perfezione".

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