The Dark Side of The Moon, la storia dell'album immortale dei Pink Floyd

Musica

Fabrizio Basso

L'ottavo album dei Pink Floyd, The Dark Side of the Moon fu pubblicato il primo marzo 1973. E' il 28 aprile dello stesso anno si posizionò al primo posto della classifiche americane. Un po' di storia di un album che è nella top 100 dei migliori dischi di sempre

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Era il 28 aprile, proprio come oggi. Ma l'anno era il 1973. The Dark Side of the Moon era uscito da meno di due mesi che già conquistava il primo posto delle classifiche americane. E' tra i cento album più maestosi di sempre ed è uno dei migliori dei Pink Floyd. Dopo la stagione sperimentale, ricca di musica delineata da Syd Barrett, la band inglese trova la sua via, quella che fa crescere l'importanza dei testi, firmati da Roger Waters, che vanno nella nostra metà oscura, dove la ragione non arrivano il conflitto con se stessi, l'alienazione, la morte, il condizionamento dei soldi. E' un album al quale i Pink Floyd hanno iniziato a lavorare nel 1971 e quando esce è un trionfo. Ha conservato il primo posto della classifica statunitense per una settimana cui se ne sono aggiunte, in altre posizioni ben 741 per un periodo che è andato dal 1973 al 1988. Con oltre 50 milioni di copie vendute è l'album di maggiore successo dei Pink Floyd e uno dei più venduti della storia della musica.

Già dalla fase progettuale la band era d'accordo per lo sviluppo di un concept album. C'era rabbia alle riunioni. L'idea era di testi aggressivi, verbalmente violenti. I Pink Floyd erano stanchi di essere additati come una band dissoluta e di sentire condannati i problemi mentali che ha avuto il loro ex compagno di viaggio Syd Barrett. Un anno prima dell'uscita fu presentato in un concerto privato ai giornalisti e i commenti furono più che positivi. Ogni faccia del vinile contiene cinque brani, inizia e finisce con il rumore del battito cardiaco, è il ciclo della vita.

Si parte con Speak to Me e Breathe che come un soffio ci spingono sulla superficialità della vita e quello spettro, che proprio per esperienza condivisa pesa molto sulla band che si chiama pazzia. Ecco i in un aeroporto per ascoltare la strumentale On the Run nella quale un sintetizzatore richiama la paura di volare. Time ha un attacco storidisce e poi ci risucchia come le sabbie mobili per ricordarci che quello che rientra nell'idea di modano spesso è una perdita di tempo. Solitudine e vecchiaia permeano Breathe (Reprise). Il lato A termina con The Great Gig in the Sky, metafora della morte accompagnata da una voce femminile dilaniante che è quella di Clare Torry. Si riparte con Money, un vero capolavoro che irride il consumismo con rumori che nella vita (ir)reale ne sono i suoi pilastri: il suono nervoso di un registratore di cassa e quelle delle monete che cadono a cascata. Us and Them è il rapporto e il confronto col prossimo, già ai tempi al centro di dibattiti sociologici. Ed eccoci a uno dei temi clou per i Pink Floyd in quegli anni ma che noi oggi, nel 2020, ritroviamo ancora più grave, profondo e, soprattutto, irrisolto. E' concentrato in Brain Damage e affronta il disturbo mentale che scaturisce dall'anteporre fama e successo alle quotidiane necessità di un individuo. Un altro attacco la medesima canzone lo sferra all'omologazione sociale. L'album termina con Eclipse che spinge a riconoscere il senso di comunità, di fratellanza anche se, come dice la canzone, il sole si è eclissato.

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