Ballate per uomini e bestie, il nuovo album di Vinicio Capossela

Musica
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E' sempre stupefacente incontrare la musica di Vinicio Capossela. Col suo nuovo lavoro Ballata per Uomini e Bestie ci porta in giro nel tempo senza allontanarci dal Medio Evo odierno. Tra santi, eroi, briganti, leggende e storia ecco tanti racconti di vita

(@BassoFabrizio)

Un viaggio tra il sacro e il profano, tra storie e leggende. Un viaggio nel tempo quando il tempo era una percezione reale e non un clic su una tastiera. Ballate per Uomini e bestie è il nuovo lavoro di Vinicio Capossela e tocca diversi secoli di storia, si va da San Francesco a Sant’Antonio Abate, da Alessandro Manzoni a Oscar Wilde fino a John Keats e altri. Per condividerlo e commentarlo ci siamo trovati nella Chiesa di San Carlo al Lazzaretto, luogo reso famoso per la peste raccontata nei Promessi Sposi. E subito partiamo con il primo incrocio di epoche perché “in questa fase storica ci sono delle componenti che ci fanno riflettere. La peste libera la gente dalla civiltà e dalle gerarchie, dalle leggi di Stato e da quelle culturali, dai vincoli sociali, ognuno pensa a sé. L’individuo si pone sul mercato perseguendo i propri interessi frutto del capitalismo nel contesto della rete e il web sembra essere un accentratore di dinamiche già in atto, così come la peste nera che fu un acceleratore di crisi già presente nella società”.

Quando diciamo che stiamo scivolando verso un medio Evo 2.0 non siamo poi così lontano dalla realtà e lo conferma Capossela che a volte mi sembra un Frate Dolcino moderno. Infatti con Ballate per uomini e bestie ci porta nel Medioevo dei nostri giorni ricorrendo a bestie estinte, creature magiche, cavalieri, fate, santi. Il disco inizia con un brano che si chiama Uro che è “l’animale scomparso che si trova nelle pitture rupestri nelle grotte di Lascaux e racchiude il mistero che nasce dal fatto che veniamo dallo stesso unicum primordiale. Il povero Cristo è un brano che racconta la vicenda evangelica, dove Cristo incontra l’uomo e si sacrifica per lui, si impoverisce ed è sinonimo della condizione umana. Questo è il singolo che ha anticipato l’uscita del disco. La peste è un brano scritto in memoria di Tiziana Cantone, immolata sulla colonna infame dell’ultima pestilenza: nel brano ci sono chiari riferimenti al web, dai like al foodporn al concetto di influencer: “La rete non è la peste, ma un veicolo che la diffonde. La sensazione di viralità è il veicolo di trasmissione di qualsiasi cosa. Abbiamo mezzi tecnologici sempre più potenti, però per funzionare devono essere sempre più accessibili”.

Danza macabra ha un arrangiamento alla Tim Burton, cinematografico, realizzato da Raffaele Tiseo (che ha definito questo disco “filosofia, poesia e denunzia”): “Gli spettri danzano sul letto della morte e nessuno può sottrarsi. Ne Il testamento del porco il porco è l’animale dell’abbondanza che viene offerto in sacrificio dai contadini. Il porco sarebbe il vecchio peccatore. Il testamento è visto come caos per smantellare le convenzioni. Eccoci a Ballata del carcere di Reading: è una forma che rimanda all’inizio della poesia e della canzone. La ballata non è fatta per essere orecchiabile ma permette di raccontare storie. E’ l’ultimo testo scritto da Oscar Wilde, grande esteta e salottiere, che finisce in carcere e denuncia l’oscenità della pena di morte e del carcere come sistema di repressione e tradimento del messaggio cristiano”. Si accende davvero il fuoco dentro di noi con Nuove testimonianze di Sant’Antonio: “In gennaio cadeva la festa di Sant’Antonio Abate, figura illuminata e legata agli animali. Questo santo è anche una figura legata al fuoco; decise di aiutare gli uomini rubando il fuoco e portandoglielo come scintilla di ragione.

La belle Dame sans merci è una ballata di John Keats che rappresenta l’amore, la

morte, l’incantesimo della bellezza, insomma racconta la vita in una ambientazione preraffaellita, stagione nota per la potenza della passione. Perfetta Letizia nasce da un fioretto di San Francesco d’Assisi: E’ una poesia e vuole lasciare un senso lieto. Trovo paradossale che Francesco trovasse la perfetta letizia in qualcosa in cui noi siamo responsabili, ma tutto è un dono. L’andare oltre noi stessi è il solo merito per cui essere felici”. Ci avviamo verso la fine dell’album con I musicanti di Brema che è la trasposizione caposseliana della celebre fiaba di un asino, un cane, un gatto, un gallo, che sono destinati alla morte ma si salvano perché decidono di dedicarsi alla musica. Loup Garou è un pezzo politico ambientato a Padova nel Seicento: “Narra di un contadino che era certo di essere un lupo mannaro. La corsa del lupo dentro l’uomo col pelo sotto la pelle per recuperarne l’umanità. Invece La giraffa di Imola racconta una vicenda realmente accaduta di una giraffa che, una volta scappata dal circo, non ha più un suo posto”. Ora arriva una metafora su cui riflettere, come spesso ci crediamo perfetti e invece siamo una farsa: in Di città in città (e porta l’orso) troviamo l’orso come un animale forte che viene soppiantato e diventa un buffone-pagliaccio. Come accade? E’ un orso ammaestrato che viene condotto da un orsante di città in città. La Lumaca è il brano che chiude il viaggio. Celebra la sacralità della lentezza. Rallenta il tempo come unica forma di eternità possibile. La lumaca porta sempre con sé la sua casa, una galassia. E qui finisce il nuovo viaggio di Vinicio Capossela, con l’invito a portare sempre con sé la propria galassia e non temere di affacciarsi in altre galassie, perché siamo noi che dobbiamo fare ballare la nostra costellazione e non gli altri, le paure, la società. Siamo noi a dover scegliere se essere uomini o bestie. Ma poi, sappiamo davvero chi è migliore?

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