Un passo a due con Roberto Bolle. L'INTERVISTA

Musica

Marta Nicolazzo

Roberto Bolle
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Roberto Bolle, piemontese d'origine, universale d'adozione. Quarantaquattro anni, è il portavoce dell'arte della danza classica in Italia e nel mondo. Con lui, quella che prima veniva etichettata come una disciplina casta e aristocratica, è diventata amabile e intellegibile agli occhi dei più, con il vantaggio di custodire la sua intrinseca nobilità. Perché la danza classica è un linguaggio universale e centra il cuore di tutti. LEGGI L'INTERVISTA

@martanicolazzo

Cosa ricorda del suo incontro precoce con il grande Maestro Rudol'f Nureyev quando la voleva con sé all'Arena di Verona?

È stato uno di quegli incontri indimenticabili. Mi ero attardato in una sala ballo in Scala a provare, e all’improvviso lui entrò, stavo per scappare via e lasciargli la sala libera ma mi disse di fermarmi e rifare i passi che stavo eseguendo. Mi diede qualche consiglio e qualche correzione. Dopo scoprii che andò dalla direttrice della Scuola a chiederle che potessi fare Tadzio in Morte a Venezia che avrebbe allestito alcuni mesi dopo a Verona. L’Accademia si rifiutò: ero troppo giovane. All’epoca mi sembrò di avere perso l’occasione della vita, ora non lo penso più. Penso che probabilmente fu una scelta saggia: ero troppo giovane e inesperto, e avrei rischiato di bruciarmi. 

Si è esibito così tante volte, nei maggiori teatri del mondo con le compagnie più prestigiose dinnanzi a un pubblico sempre diverso. C'è uno spettacolo a cui è particolarmente legato? Un teatro? Una partner?

Ce ne sono molti. Posso citare un esempio per ogni domanda. Uno degli spettacoli che ricorrono più frequentemente nei momenti cruciali della mia carriera è il Romeo e Giulietta. Con questo ruolo ho debuttato al Covent Garden al cospetto della famiglia reale inglese, sostituendo un primo cast, poi sono stato nominato Primo Ballerino della Scala, mi sono esibito per la prima volta accanto ad Alessandra Ferri al Metropolitan di New York, prima di essere nominato Principal Dancer dell’American Ballet. Come teatro non posso che nominare sempre la Scala, la mia seconda casa. Infine ho avuto molte, bellissime partner nella mia carriera, un posto speciale lo ricopre sicuramente Alessandra Ferri, grazie alla quale ho avuto alcune delle occasioni più importanti della mia vita.

Com'è nato, negli anni 2000, il Gala Roberto Bolle and Friends e con quale finalità?

Il modello è un po’ quello del Pavarotti & Friends che portava in giro uno spettacolo di duetti con grandi artisti. È stato lo strumento con il quale per anni ho portato e porto tutt’oggi la danza alle persone direttamente: nelle piazze, nei posti più belli del nostro paese e non solo. Un progetto che ha avuto un successo incredibile che ha aperto luoghi prima impensabili per la danza, facendosi strada nel cuore delle persone. A volte mi dicono che i miei Gala raccolgono un entusiasmo da rockstar: troppo che sia un complimento e una soddisfazione incredibili. Quest’estate addirittura faremo due serate all’Arena di Verona: quando ci entrammo la prima volta nel 2011 la danza non vi entrava da oltre 20 anni. Adesso aspiriamo a due sold out di seguito.

Come ci si sente a essere un Étoile?

Stellari! È una battuta, è una gioia e insieme una grande responsabilità. So di essere un ambasciatore dell'arte italiana nel mondo e ci tengo a portare avanti questo mio ruolo con il massimo impegno. Il nostro amato Paese è stimato, amato e riconosciuto in tutto il mondo grazie alla sua cultura, alla sua arte e alle bellezze storiche e architettoniche ed è da questi elementi che bisogna ripartire per costruire un futuro degno del nostro passato.

Ballerini si nasce o si diventa?

Si nasce e si diventa con impegno e sacrificio, una dedizione totale. 

Che rapporto ha con Zvetlana Zakharova?

Svetlana è un’artista incredibile, un talento e una bellezza uniche. Una partner perfetta, mi trovo benissimo con lei. 

L'esercizio, il passo tecnico più difficile da realizzare per Lei?

Per me un passo molto difficile da realizzare è sempre stata la double revoltade, un salto in cui devi girare in aria due volte sul tuo asse con un’inclinazione di 45 gradi. Viene molto meglio a ballerini più piccoli e veloci di me.

Ha mai vissuto dei momenti difficili durante il suo percorso di crescita alla Scala?

I primi anni sono stati molto duri, ero un ragazzino di 11 anni lontano dalla famiglia, in una città sconosciuta. Tornavo a casa il venerdì sera e rientravo col treno delle 5 la mattina del lunedì. A 14 anni volevo tornare a casa, iscrivermi ad un liceo normale, fare una vita normale. Mi promisi che avrei sbagliato il test di ingresso all’Accademia, ma quando mi trovai lì non seppi resistere e diedi il massimo. Mi presero e i dubbi si dileguarono.

Dinanzi a una possibile definizione sulla sua professionalità resto ineffabile. Si sarebbe mai aspettato di diventare "Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana"?

No, ma ne sono infinitamente orgoglioso. E ancora più di essere stato nominato Ufficiale della Repubblica lo scorso settembre. Che onore!

Ci racconti della sua esperienza Viaggio nella Bellezza del 2015. Quale dei tanti luoghi simbolo del patrimonio artistico italiano le è rimasto nel cuore?

Mi piaceva l’idea di portare la bellezza del movimento della danza al centro della bellezza eterna dei luoghi simbolo del nostro Paese. Un posto su tutti: Pompei, dove ho portato il mio Gala e mi sono esibito nel Teatro Grande. Si respira un’atmosfera strana, ti ricorda che tutto può finire in un attimo, e al contempo rimanere eterno. 

La danza classica è sempre stato un mondo un po' a sé stante, una sorta di nicchia per pochi. Lei è riuscito in un grande intento: ha avvicinato molte persone a questo mondo, le ha appassionate, è addirittura riuscito a portare la danza classica al grande pubblico e in tv, sfatando il mito della "pesantezza" del balletto classico. Come ci è riuscito e da cos'è nato il bisogno di fare tutto questo?

Ho sempre combattuto contro una certa forma mentis che considerava la danza come arte di nicchia. Trovo sia un ossimoro: la danza è linguaggio universale, arriva al centro del cuore di tutti. Ogni mio progetto ha come scopo riportare la danza a tutti: dalla tv a On Dance – la festa della danza inaugurata a Milano l’anno scorso che quest’anno rifaremo anche in un’altra città italiana –, dai Gala all’utilizzo dei social network. Non vuol dire abbassare la danza come molti temono, ma darle linfa vitale attraverso la nuova o rinnovata passione della gente. 

Uno come Lei che ha portato la sua arte in tutto il mondo, quando chiude gli occhi e insegue il prossimo sogno, dove si trova?

I sogni che ho fatto sono stati spesso superati dalla realtà, per cui non voglio chiudere gli occhi, ma al contrario mi piace tenerli ben spalancati sul presente che è costellato di sogni incredibili che vedo prendere forma davanti a me. Una delle lezioni più belle che ho imparato nel corso degli anni, è quella di apprezzare e ringraziare per tutto ciò che la vita mi regala.

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