Cosa ci dice il successo al cinema de "L'uovo dell'angelo"

Nel giro di una settimana, dal 4 al 10 dicembre, “L’uovo dell’angelo”, il film di Mamoru Oshii sviluppato con la direzione artistica di Yoshitaka Amano, ha incassato circa 520 mila euro. Ed è un risultato che non andrebbe minimamente sottovalutato. Perché ci dice diverse cose. La prima, e probabilmente più importante, è che c’è spazio, anche nel nostro cinema, con la sua overdose di offerta e con la sua programmazione spesso eccessiva, per opere artisticamente più ricercate come “L’uovo dell’angelo”, uscito per la prima volta nel 1985, quindi quarant’anni fa, e mai arrivato prima d’oggi nelle sale italiane. “L’uovo dell’angelo” è un OAV, un anime, cioè, pensato per essere distribuito direttamente sul mercato home video. In particolare, quando Oshii ci ha lavorato, in Giappone si stavano diffondendo le VHS. Da un punto di vista puramente commerciale, “L’uovo dell’angelo” rappresentò un vero e proprio insuccesso, tanto che Oshii, prima di poter girare il suo film più famoso, “Ghost in the Shell”, fu costretto ad aspettare circa dieci anni. Per la critica, però, “L’uovo dell’angelo” ha finito per rappresentare qualcos’altro. Una guida al cinema e alla visione di Oshii. Il successo de “L’uovo dell’angelo” in Italia non è stato completamente un fulmine a ciel sereno. In questi anni il distributore, Lucky Red, ha fatto molto bene anche con altri film d’animazione giapponese, a cominciare dai titoli dello Studio Ghibli. Se quelli, in qualche modo, rappresentano un’eccezione, perché parliamo comunque di una delle realtà più conosciute al mondo, per “L’uovo dell’angelo” il discorso si articola in maniera diversa. Un film quasi privo di dialoghi Artisticamente, grazie alla supervisione di Amano, “L’uovo dell’angelo” dimostra di essere un’opera interessante, a tratti sperimentale, attenta tanto alle ambientazioni e ai colori quanto, ovviamente, ai personaggi e al loro design. È un film criptico perché volutamente oscuro e quasi privo di dialoghi, perché ridotto alla semplicità assoluta, e non per questo banale, delle inquadrature che cercano i volti e gli sguardi dei protagonisti. Ma il successo de “L’uovo dell’angelo” non andrebbe sottovalutato anche per un’altra ragione. E cioè per il segnale importante che dà al nostro cinema. Un pubblico di appassionati, interessati sia a una certa offerta sia al lavoro che viene fatto sulle edizioni dei film, dal doppiaggio all’adattamento, c’è ed è sempre pronto ad andare in sala, specialmente se si tratta di recuperare film come questo, che non sono mai stati proiettati prima sul grande schermo. Una comunicazione precisa e trasparente Lucky Red, con la sua comunicazione, è stata attenta nel non rivelare troppo, ma non si è nemmeno risparmiata: ha costruito un racconto intorno a “L’uovo dell’angelo”, senza affidarsi morbosamente a “Ghost in the Shell” o agli altri lavori di Oshii. Ha coinvolto content creator e artisti . E non ha mai sottovalutato, aspetto fondamentale, né il film e la sua complessità né tantomeno gli spettatori. Non c’è stata, insomma, nessuna ricerca forsennata di spettacolarità. “L’uovo dell’angelo” è stato presentato esattamente per quello che è: un film d’autore, animato, con un’attenzione particolare per la messa in scena e per le ambientazioni, con questi due protagonisti, una bambina e un soldato, che funzionano come le facce della stessa medaglia, completandosi e cercandosi, sovrapponendosi e sostenendosi a vicenda, anche nella tragedia. La consacrazione artistica di Oshii “L’uovo dell’angelo” rappresenta la consacrazione artistica di Oshii. E no, non è l’ennesima esagerazione. Prima di questo film, Oshii aveva lavorato ad altri titoli e ad altre serie, tutti – o quasi tutti, comunque – tratti da storie già edite, da manga, da proprietà intellettuali non nuove. “L’uovo dell’angelo” è un’eccezione. Ed è una cosa totalmente di Oshii . Nata, cresciuta e sviluppata secondo la sua idea di cinema e animazione, sfruttando ogni elemento, trovando un compromesso tra aspirazioni artistiche e creative ed effettive risorse economiche. In circa settanta minuti, “L’uovo dell’angelo” ci ricorda che esiste un altro tipo di cinema animato. Non per forza commerciale, non per forza sostenuto e ripreso da manga o fumetti famosi. Un cinema indipendente, che rispecchia l’indole e l’unicità del suo autore. Anche oggi, nel 2025, quarant’anni dopo la sua prima uscita in videocassetta.

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Gianmaria Tammaro