Il rapimento di Arabella e il cinema sospeso di Carolina Cavalli

A Carolina Cavalli, la regista de “Il rapimento di Arabella”, al cinema dal 4 dicembre con PiperFilm, sembra interessare un certo tipo di storie: storie sospese, leggere, a tratti anche surreali, con questi personaggi incredibili, al limite del letterario, che attraversano il racconto navigando a vista, senza grandi colpi di scena o straordinarie trasformazioni. Storti, irrisolti, confusi. Molto spesso appassionati per i motivi sbagliati. “Il rapimento di Arabella”, rispetto ad “Amanda”, il primo film di Cavalli, si avventura in una dimensione ancora più sperimentale. Ma forse sperimentale non è la parola giusta, o almeno non è la parola più adatta, per descrivere il cinema di Cavalli. Tra road movie e coming of age “Il rapimento di Arabella” può essere, a seconda del punto di vista di chi lo guarda, diverse cose. Può essere un road movie, perché le due protagoniste, Holly, interpretata da Benedetta Porcaroli, e Arabella, interpretata da Lucrezia Guglielmino, si mettono effettivamente in viaggio. Ma può essere anche una storia di crescita, un coming of age, vista l’età dei due personaggi . E infine “Il rapimento di Arabella” si offre come una riflessione più ampia, a tratti quasi universale, sulla solitudine dell’essere umano, su questa individualità spudorata che ci tiene sempre più lontani e separati, sul rapporto con l’altro, con gli amici, i genitori e gli sconosciuti, e su quelle che sono le aspettative: di chi ci ha cresciuto, di chi ci conosce, ma soprattutto nostre. “Il rapimento di Arabella” segna la seconda collaborazione tra Cavalli e Porcaroli, che hanno formato, così, una nuova coppia del cinema italiano: una coppia tutta al femminile, dinamica, con una disponibilità totale da parte di chi recita e una visione avvolgente, assolutamente complice, di chi dirige. Cavalli e Porcaroli si sono conosciute circa tre anni fa, per “Amanda”. Sono state a Venezia e hanno girato mezza Italia. Cavalli ha vinto il John Cassavetes Award nel 2024 per il suo lavoro come sceneggiatrice di Fremont, film indipendente disponibile in Italia su Raiplay. Porcaroli, invece, ha ricevuto il premio come miglior attrice nella sezione Orizzonti della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia per la sua interpretazione ne “Il rapimento di Arabella”. Insieme, Porcaroli e Cavalli sono le rappresentanti di una nuova generazione di cineasti italiani, attenti non soltanto alle storie che raccontano e che mettono in scena ma pure a ciò che accade nel resto del mondo, tanto sul grande schermo quanto al di fuori delle sale. Un'ambientazione assurda dove la polizia va in giro in polo “Il rapimento di Arabella” è pieno di sole, di luce, e anche di scene ambientate al buio, all’esterno o nelle stanze di motel. Non importa la geografia dell’ambientazione. Le protagonista si spostano costantemente, in questa Italia assurda dove le spose non sanno di dover avere una damigella, dove tutti sembrano gentili e ospitali, dove la polizia va in giro in polo e uomini adulti piangono nel retro di case di piacere piene di vetri e specchi. Al di là della storia, che non cerca in alcun modo di diventare qualcosa che non è, e cioè una rincorsa contro il tempo e lo spazio, quello che conta è ciò che viene detto e mostrato: Porcaroli interpreta questa ragazza che vive ancora nel passato, che non riesce a perdonarsi di non aver preso lezioni di danza quando le sono state offerte; che alla sera, prima di andare a dormire, parla con la madre che non c’è più per dirle che va tutto bene, di stare tranquilla, che ora è stanca e che la richiamerà l’indomani. Arabella, invece, è quasi l’opposto di Holly. È brillante, intelligente, solo fintamente infantile. Grida quando vuole far pesare a suo padre, interpretato da Chris Pine, qualcosa. Manipola gli altri, s’infila nelle macchine degli sconosciuti; riesce sempre, incredibilmente, ad avere l’ultima parola. Un ballo a due tra le protagoniste Holly, vedendola, crede che sia lei. Lei da bambina. E Arabella non fa niente per correggerla. Anzi, ne approfitta. In questo testacoda percettivo, “Il rapimento di Arabella” si trasforma in un ballo a due tra Porcaroli e Guglielmino, che vanno avanti fianco a fianco, che incontrano altri personaggi, altri comprimari, e che si affidano completamente l’una all’altra. Più che realistiche, insieme sono credibili. Proprio perché riescono a restituire un’idea di dipendenza reciproca. Ancora una volta, Cavalli non si impone; non cerca a tutti i costi di affermare la sua idea. Lascia che venga fuori da sola, naturalmente, grazie alle attrici e alla collaborazione con Porcaroli, che si fa tramite, talvolta in modo letterale, della sua storia e, soprattutto, delle sue parole.

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Il rapimento di Arabella e il cinema sospeso di Carolina Cavalli

Gianmaria Tammaro