Ornella Vanoni e il cinema: un viaggio tra film, canzoni, metamorfosi e un mito senza fine

Ci sono artisti che non scompaiono davvero: restano nell’aria, come un profumo che cambia stanza prima ancora che ce ne accorgiamo. E in questi giorni in cui il nome di Ornella Vanoni risuona ovunque — tra ricordi, sorrisi, frammenti di canzoni che ritornano senza chiedere permesso — il modo più naturale per renderle omaggio è guardare al suo rapporto con il cinema. Non per celebrare una filmografia lineare, ma per seguire la scia luminosa che ha lasciato: una costellazione irregolare, ironica, struggente, in bilico tra interpretazione e verità. Ornella non è mai stata un’attrice “di professione”. Era qualcosa di più raro: una presenza che il cinema accoglieva come si accoglie un’illuminazione. Lei portava la teatralità del Piccolo di Strehler, la bossa nova respirata a pieno petto, la sua voce ferita e felice, la sua ironia felina, la capacità di trasformare un dettaglio in emozione. E soprattutto portava se stessa: un corpo che non recita ma ricorda; un volto che non interpreta ma abita; una voce che non canta ma scolpisce. Il cinema, per lei, è stato un amore intermittente, mai prevedibile. Un luogo dove entrare quando aveva qualcosa da dire, o qualcosa da sottrarre. E oggi, ripercorrerlo, significa attraversare anche un po’ della nostra storia emotiva. Gli esordi: Strehler, Corbucci e la formazione di un magnetismo Prima di tutto, Ornella è stata attrice di teatro: una creatura scenica forgiata da Giorgio Strehler, che le insegnò l’arte del gesto minimo, della pausa necessaria, della parola che vibra prima ancora di essere pronunciata. Da lì, dagli anni del Piccolo Teatro, nascono la sua disciplina e la sua libertà. Il cinema la scopre nei primi anni Sessanta. In Romolo e Remo di Sergio Corbucci appare come un’intuizione: una presenza breve ma già magnetica. Nei panni di Tarpeia, a fianco di Virna Lis, mon è una comparsa, non è un ingranaggio del peplum: è un volto che sembra appartenere a un’altra densità drammatica. Una giovane donna che, anche in pochi secondi di pellicola, impone un’intensità che il cinema non dimentica. Gli anni dei musicarelli la sfiorano senza contenerla. Ornella entra ed esce da quel mondo con l’ironia di chi sa di appartenere a un’altra vibrazione: seduce la macchina da presa, ma non si lascia catturare. Le canzoni nei film: quando la voce di Ornella diventa cinema C’è una costellazione di film che hanno usato la voce di Ornella Vanoni come fosse una lente: un modo per ingrandire l’emozione, farla vibrare, farla sanguinare. Non è semplice colonna sonora: è un sentimento che cammina, una presenza che entra in scena da sola. "Senza fine" , scritta da Gino Paoli, è la regina assoluta: vola da "Il volo della fenice" alla commedia amara "Che cosa è successo tra mio padre e tua madre?" di Billy Wilder , fino a tornare domestica e struggente ne "La pazza gioia" di Paolo Virzì . E poi festosa, marittima, irresistibile in "Sapore di mare" , dove è l’estate stessa a cantarla. In "Certo, certissimo, anzi… probabile" di Marcello Fondato, la sua "Senza di te" accompagna Claudia Cardinale e Catherine Spaak in una commedia femminile che anticipa sensibilità nuove. La stessa scossa emotiva arriva con "Una ragione di più", che torna nei dialoghi del film come un pensiero che non si riesce a scacciare. Poi c’è l’incontro perfetto: "La prima notte di quiete" di Valerio Zurlini. La scena in discoteca vive e respira grazie a "Domani è un altro giorno": Alain Delon sembra guardare il mondo da dietro quella voce, come se la canzone fosse il suo monologo interiore. Il 1973 è un anno di vertigine: Lucio Fulci sceglie "Quei giorni insieme a te" per la sequenza più controversa di "Non si sevizia un paperino". La violenza diventa rito tragico perché la voce di Ornella la trasfigura. "L’appuntamento" , la signature song, entra nella storia del cinema due volte: – in Europa, nel noir malinconico "Tony Arzenta" di Duccio Tessari – e a Hollywood, in "Ocean’s Twelve" , dove Steven Soderbergh la usa come un incantesimo sospeso. La sensualità libera di "Ti voglio" attraversa "Avere vent’anni" di Fernando Di Leo, film scandaloso e magnifico. Ornella canta il desiderio che diventa rivoluzione. La malinconia caraibica di "La voglia la pazzia" plasma il tono emotivo de "L’ultimo bacio" , mentre il sequel "Baciami ancora" ritrova l’intimità ferita di "Io so che ti amerò". E poi l’eleganza di Sorrentino, che in "Le conseguenze dell’amore" accoglie "Rossetto e cioccolato" per raccontare un amore clandestino con la precisione di un coltello. "Dettagli" , firmata Roberto Carlos e tradotta da Bruno Lauzi, appare nel documentario "Kiss the Future" , in un filmino di matrimonio che diventa una reliquia emotiva. "Se ci sarà domani" accarezza il cuore spezzato di "Nuovo Olimpo" di Ferzan Ozpetek, mentre "Sant’allegria", rinata grazie al duetto con Mahmood, diventa la spina dorsale emotiva di "Tre ciotole" di Isabel Coixet. Infine, la storia più incredibile: "E così per non morire" fu “rubata”. Bill Conti riutilizzò la melodia nella colonna sonora di "Rocky" . Ornella, senza saperlo, entrò così nel mito americano, "Senza fine" : quando il cinema prova a catturare Ornella E poi c’è il film che più di tutti ha provato a contenerla — sapendo che è impossibile. "Senza fine", il documentario di Elisa Fuksas, presentato a Venezia 2021, è un viaggio ipnotico in un hotel termale anni ’40, fuori dal tempo. Non una biografia, ma un dialogo tra distanza e intimità: Ornella che si lascia filmare in frammenti, in splendori improvvisi, in confessioni che sembrano vere e false insieme. La fotografia di Simone D’Arcangelo ed Emanuele Zarlenga crea un universo che è già cinema; la tromba di Paolo Fresu, le apparizioni di Vinicio Capossela e Samuele Bersani diventano compagni di una fiaba crepuscolare. È Ornella che diventa mito e poi si smonta da sola, giocando con il proprio personaggio, con la troupe, con la regista. "È come una fiaba", dice. E "Senza fine" lo è davvero: un film sulla Vanoni che diventa un film su come filmare ciò che non vuole farsi spiegare. Una dichiarazione d’eternità. I ruoli da attrice: apparizioni, epifanie e metamorfosi "I viaggiatori della sera" — Vanoni nell’Italia che ha paura del futuro Tra tutti i suoi incontri con il cinema, questo è il più folgorante. "I viaggiatori della sera" di Ugo Tognazzi è un film che arriva da un’Italia inquieta, che teme il domani e lo trasforma in un rito di esclusione. Un’Italia distopica, cupa, che immagina gli anziani spediti in colonie di “fine vita”, come se l’età fosse una colpa. Dentro questa visione crudele, Ornella Vanoni appare come una figura sospesa: una donna che sembra conoscere il tempo meglio del film stesso, come se portasse negli occhi segreti che nessun personaggio osa nominare. Il suo volto è un oracolo malinconico: non racconta il futuro, lo evoca. La sua presenza è magnetica e fragile, ma mai rassegnata. Ha quell’espressione di chi non accetta il destino che le hanno scritto addosso — una rabbia gentile, una tristezza lucida, un’eleganza che taglia come una lama sottile. Ogni scena è un enigma: Ornella non “recita”, abita una possibilità. E il film, improvvisamente, smette di essere solo un racconto distopico e diventa una metafora emotiva: di ciò che perdiamo, di ciò che temiamo, di ciò che resta anche quando tutto sembra finito. La Vanoni è la vibrazione segreta del film, la sua nota fuori scala, il suo cuore che non vuole arrendersi. "Ma che bella sorpresa" — la madre che ride, punzecchia, sdrammatizza Molti la ricordano per questo ruolo perché è uno dei più “pop” e moderni. Accanto a Claudio Bisio e Frank Matano, Ornella porta una comicità che non si può insegnare: tagliente, affettuosa, precisa come una smorfia fatta al momento giusto. La sua è una madre che guarda il mondo dall’alto di un’ironia senza età: commenta, giudica, si diverte e, soprattutto, non si prende mai troppo sul serio. Ogni volta che entra in scena, il film cambia ritmo: è un colpo di luce, un piccolo terremoto. La verità è che Ornella nelle commedie funziona da dio perché non “fa ridere”: fa sorridere il mondo che la guarda. "7 donne e un mistero" — il gioco del teatro, la libertà della diva Il remake pop di "8 femmes" è un film fatto di colori, posture, segreti e duelli femminili. Un palcoscenico travestito da giallo. In mezzo ai toni brillanti di Buy, Ranieri, Impacciatore, Ramazzotti e Del Bufalo, Ornella è l’elemento di discontinuità: una presenza che sfugge a ogni codice. È teatrale e tenera, caustica e svagata, elegante e imprevedibile. La sua recitazione non è mai letterale: sembra una diva che gioca a essere una diva, portando una nota di surrealtà che arricchisce il film. È una performance che resta negli occhi perché nessun’altra potrebbe renderla così personale. Una presenza che continua a risplendere Ci sono artiste che il cinema non riesce a trattenere: attraversano il grande schemo, lo incantano, lo spostano un po’ più in là. Ornella Vanoni è una di loro. Ogni battuta è un gesto che vibra, ogni sguardo una piccola storia, ogni silenzio un atto di presenza che non somiglia a nessuno. Il cinema non l’ha mai posseduta davvero — ha provato, piuttosto, a inseguirla, a starle dietro come si fa con le comete: sapendo che la bellezza non sta nel catturarle, ma nel modo in cui illuminano ciò che sfiorano. E oggi, mentre la sua voce torna a muovere memorie e stanze, il suo cinema — fatto di ruoli, di canzoni, di apparizioni, di documentari che provano a coglierne l’intimità — continua a brillare con la stessa intensità di sempre. Un bagliore che non si spegne, ma cambia direzione, cambia ritmo, cambia pelle. Perché ci sono artiste che sono senza fine: mutano, si trasformano, illuminano Ornella Vanoni appartiene a questa categoria rara: quelle che non lasciano un’assenza, ma una presenza.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Ornella Vanoni e il cinema: un viaggio tra film, canzoni, metamorfosi e un mito senza fine

Paolo Nizza