Carmelo Bene e Nostra Signora dei Turchi, il film scandaloso che sconvolse Venezia

Alla Mostra del Cinema del 1968 non c’era solo la contestazione che infiammava le sale e i corridoi del Lido. Tra Pasolini, Cavani e Bertolucci, apparve Carmelo Bene con Nostra Signora dei Turchi. Non un film nel senso tradizionale, ma un’opera totale che travolse pubblico e critica. La proiezione si trasformò in un campo di battaglia: Carlo Mazzarella lo stroncò in diretta televisiva e si prese due schiaffi leggendari, i francesi e i giapponesi applaudirono entusiasti, i giurati si divisero. E alla fine arrivò il Leone d’argento. Nessun compromesso, solo furia barocca e dissacrazione. Un film che non voleva nascere Tratto dal romanzo omonimo e già passato per il teatro, Nostra Signora dei Turchi fu girato con mezzi poverissimi, nel Salento visionario di Bene. Era il suo esordio dietro la macchina da presa, il primo passo di una stagione breve e folgorante di cinema che sarebbe durata appena cinque anni, dal 1967 al 1973. Ma già qui c’è tutto: la volontà di frantumare il linguaggio, di bruciare la pellicola, di far collassare il visivo per trasformarlo in suono, ritmo, poesia. Non è un caso se Bene amava Keaton e detestava Chaplin: niente sentimentalismo, solo corpo, caduta, gesto puro. Martiri, Madonne e frati volanti Il protagonista, alter ego di Bene, attraversa Otranto e Santa Cesarea come un Cristo rovesciato. È ossessionato dai martiri della sua terra, ma rifiuta ogni salvezza. Cade dal balcone come Giuseppe da Copertino, il frate che volava, ma i suoi voli sono sempre mancati. E mentre proclama che “il mondo è diviso in due: cretini che hanno visto la Madonna e cretini che non l’hanno vista”, resta prigioniero della seconda categoria, inchiodato a terra, incapace di trascendersi. È un film di cadute e di fallimenti, di desideri che non diventano mai rivelazione, ma solo parodia della rivelazione. Un cinema seviziato “Nostra Signora dei Turchi è una parodia feroce del cinema”, dichiarava Bene. Non voleva raccontare storie, ma seviziare il mezzo. Il montaggio è frenetico, le immagini vengono rovinate, la pellicola calpestata, bruciata, sfigurata. Ciò che resta è un ritmo, una musicalità visiva che disorienta lo spettatore. È un’opera che non si guarda ma si subisce, come un’opera d’arte che eccede se stessa. Per Carmelo Bene il cinema era “la pattumiera di tutte le arti”, e proprio per questo lo trasformava in un laboratorio di iconoclastia. Non illustrava, distruggeva. Non rappresentava, eccedeva. Il barocco come ferita Tutto in Nostra Signora dei Turchi è barocco e autodistruttivo. Gli spazi di Santa Cesarea diventano palazzi moreschi deformati, i colori sono accesi e sporchi, la voce di Bene invade ogni scena, satura ogni respiro. Le musiche, da Mussorgskij alle voci declamate di Ruggeri e Foà, costruiscono un oratorio blasfemo e visionario. Come in Bacon o nel Bernini, ciò che resta è un’energia sospesa, dinamica, violenta. Non il racconto, ma la ferita. Tra scandalo e leggenda Il Leone d’oro fu assegnato ad Alexander Kluge, ma il film di Bene restò la vera leggenda di quell’edizione. L’Italia era divisa: c’era chi lo definiva genio assoluto e chi lo accusava di delirio narcisista. Lui stesso, con la sua consueta arroganza, lo chiamava “un capolavoro”. Ed è difficile dargli torto: perché ancora oggi Nostra Signora dei Turchi è un film impossibile, che non rassicura né consola, ma continua a bruciare. Da Bene a Maresco: un filo nero In occasione della presentazione a Venezia di Un film fatto per Bene di Franco Maresco, torna in mente quel 1968. Anche Maresco, come Bene, è un eretico del cinema, un iconoclasta che usa il mezzo per distruggerlo. Entrambi condividono l’anarchia poetica, la voglia di ridere e bestemmiare davanti all’arte e alla storia. È come se il nuovo film di Maresco dialogasse con il fantasma di Bene, continuando la tradizione di un cinema che non si lascia addomesticare. L’eterno incendio Nostra Signora dei Turchi resta una pietra miliare, non perché abbia insegnato qualcosa al cinema, ma perché lo ha distrutto dall’interno, lo ha incendiato per renderlo cenere e canto. È un film che ancora oggi non si può addomesticare, che continua a essere scandalo, eresia, barocco. Carmelo Bene ha trasformato il cinema in un atto di guerra contro se stesso. E nel rivederlo, a distanza di decenni, ci accorgiamo che l’incendio non si è mai spento.

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Carmelo Bene e Nostra Signora dei Turchi, il film scandaloso che sconvolse Venezia

Paolo Nizza