Predator: Killer of Killers, l'uomo al centro di una storia di mostri

C’è una frase, che viene attribuita a Tiziano Sclavi, il creatore di “Dylan Dog”, che dice: i mostri siamo noi. Ecco, in “Predator: Killer of Killers”, disponibile in streaming su Disney+, questa frase è vera a metà. Perché di mostri veri, estremamente diversi rispetto ai tre protagonisti, ce ne sono. Ma non sono il punto. In realtà, quasi paradossalmente visto il titolo e vista anche l’appartenenza del film al franchise di “Predator”, non lo sono mai. Il punto, in “Killer of Killers”, sono gli esseri umani. Che combattono per sopravvivere, per vendicarsi e per fare quella che credono essere la cosa giusta. Ci sono madri, figli, fratelli. E c’è uno spirito di sacrificio più grande, che va oltre l’appartenenza a una cultura o la lingua parlata. La forma Prima di andare nei dettagli, però, è necessario fare una premessa: “Killer of Killers”, diretto da Dan Trachtenberg e Joshua Wassung e scritto da Micho Robert Rutare, è un film animato. E quindi una delle sue caratteristiche più importanti è la forma. Il modo, cioè, in cui il racconto e le parti che lo compongono lavorano insieme, stanno sullo schermo, raggiungono – se lo raggiungono, ovviamente – un equilibrio. Lo stile dei disegni ricorda, e nemmeno così lontanamente, quello di “Blue Eye Samurai”, serie di Netflix. Anche se qui ci sono delle differenze piuttosto evidenti. Come, per esempio, la cura e l’attenzione che ci sono state nello sviluppo dei modelli e del design dei Predator: più sottili, più grandi, più muscolosi; senza un occhio, bendati, armati di lancia o incoronati da ossa e teschi. Un film diviso in tre episodi In più, “Killer of Killers” è diviso in tre episodi: uno ambientato nell’epoca dei vichinghi, un altro ambientato nel Giappone feudale e l’ultimo ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale. Ogni episodio ha un titolo differente, che si rifà all’arma utilizzata dai vari protagonisti. Abbiamo lo scudo, la spada e l’aereo . Il quarto atto, quello finale, rappresenta un momento di sintesi, in cui non solo le varie trame verticali ma pure gli elementi visivi del racconto si incontrano. “Killer of Killers”, in un certo senso, non andrebbe visto – o giudicato – come parte di una saga più grande. Andrebbe preso in considerazione singolarmente, proprio per la sua forza e per la sua chiarezza narrativa. Ogni episodio ha la sua impostazione Ogni episodio conserva dentro di sé un’impostazione unica. Se, per esempio, il terzo episodio si affida al dialogo per dare una brillantezza al suo protagonista, il secondo, ambientato nel Giappone feudale, è quasi silenzioso, costruito interamente sui movimenti, le espressioni e il gioco di ombre e di colori. Un po’ come un film di Akira Kurosawa. Spesso dimentichiamo, o facciamo finta di dimenticare, che le storie migliori non sono quelle che appaiono più ricercate o dense; le storie migliori sono quelle che si affidano alle idee semplici. E “semplici”, attenzione, non significa banali o prevedibili. Significa che per inserirle all’interno di un contesto, per studiarle, non serve nessun artificio particolare. E che per coinvolgere il pubblico non bisogna essere criptici. Anzi. “Killer of Killers” dice subito che cosa vuole raccontare: una storia di violenza e di vendetta, fatta di combattimenti e azione. E solo dopo, con calma, va più a fondo. Aggiunge altri livelli e strati ai suoi personaggi e alle ambientazioni. I mostri, qui, sono solo mostri. Sono uno strumento, uno spunto, il motivo per cui tre persone – una vichinga, un ninja e un pilota della Seconda Guerra Mondiale – si ritrovano insieme e imparano a collaborare nonostante tutto: nonostante la barriera linguistica; nonostante le chiari differenze culturali; nonostante la paura e la sofferenza che stanno attraversando. Anche un sequel di "Prey" Dopo aver ucciso un Predator, si sono risvegliati in una prigione, pronti per essere gettati in pasto all’arena e a un nuovo scontro. Perché? La loro forza non risiede nella risposta a questa domanda. Ma nella capacità che scoprono di avere dentro di sé di andare avanti e di resistere alle sfide più difficili. “Killer of Killers” si comporta anche come un sequel. Perché in parte ci dice che cosa è successo alla protagonista di “Prey”, l’ultimo film live action del franchise. Non è un aspetto fondamentale, intendiamoci. Però c’è. Proprio perché “Killer of Killers” vuole parlare a più pubblici contemporaneamente: quello che ama l’animazione; quello che cerca l’azione e quello che, invece, è un appassionato di Predator.

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