Broken Rage e il ritorno di Takeshi Kitano

“Broken Rage”, disponibile su Prime Video, non segna solamente il ritorno di Takeshi Kitano come regista e interprete. In qualche modo, rappresenta un vero e proprio manifesto sul genere e sulla comicità. Dura poco più di sessanta minuti ed è composto da due parti: entrambe raccontano la stessa storia, ma ognuna lo fa a modo proprio, cambiando il punto di vista e, ovviamente, il linguaggio di riferimento. Se nella prima parte del film seguiamo un sicario della yakuza, infallibile ed estremamente temuto, nella seconda ci ritroviamo davanti a una commedia ricca di assurdità, di situazioni surreali e di continui incisi che sfondano la quarta parete . Kitano è un gigante del cinema. Lo è sempre stato. E si è diviso equamente tra un’ironia più spinta, specialmente all’inizio della sua carriera , e un racconto realistico teso e intenso, pieno di criminalità e violenza. “Broken Rage” sembra quasi una riflessione a posteriori su ciò che ha fatto ed è stato, e soprattutto su ciò che l’industria giapponese ha finito per diventare. Perché è vero: i film sulla yakuza e un certo tipo di commedia sono stati due dei pilastri della produzione locale. Nel corso del tempo, e con l’arrivo di altri autori decisamente più votati a una visione più internazionalistica e meno prevedibile del racconto cinematografico, le cose sono cambiate. Ma non del tutto. E così, ora, Kitano può permettersi di girare un film come “Broken Rage”, dove il linguaggio della messa in scena viene deriso e portato all’eccesso, evidenziandone i limiti e le contraddizioni. Il genere, sembra dirci Kitano, non può essere il centro della storia: è un elemento, un più; a volte un sostegno. Ma deve essere confinato in uno spazio preciso, senza cercare ogni volta di riprendere e riproporre soluzioni che, in passato, hanno funzionato. È il grande dilemma di ogni industria cinematografica: non affidarsi ai successi ma provare costantemente a crescere, a migliorarsi e a offrire qualcosa di davvero interessante al pubblico. E il fatto stesso che “Broken Rage” sia stato distribuito a livello internazionale da Prime Video è piuttosto significativo. Kitano è uno dei grandi maestri giapponesi, eppure non si nasconde né davanti alle novità, come può essere lo streaming, né tantomeno davanti alla possibilità di raggiungere contemporaneamente un pubblico ampissimo. “Broken Rage” si presta anche come una riflessione sulla durata e sul formato dei film, che sono sempre più lunghi, sempre più intensi e che mettono quasi in secondo piano non tanto l’esperienza dello spettatore quanto la possibilità di essere seguiti nella loro interezza . Kitano rimane modernissimo. Non per questo, però, bisogna fare finta di non vedere le mancanze di “Broken Rage”: nella seconda parte del racconto, torna più volte la battuta sulla mancanza di un budget adeguato, ma è evidente che l’intuizione del regista non è stata accompagnata nel modo giusto dal sostegno di produttori e distributori . Insomma, “Broken Rage” si pone a metà di tante cose: è un ritorno alle origini per Kitano, ma è pure un film estremamente attuale, che affronta di petto il sistema e il cinema giapponese; è un racconto di genere, ma non si lascia guidare né da quello che può piacere al pubblico né tantomeno da cose già viste, che hanno avuto fortuna; è divertentissimo, al limite del surreale, ma è anche rigoroso e attento. È un peccato considerare “Broken Rage” nella sua verticalità, come un caso isolato. È fondamentale provare a contestualizzarlo e a inserirlo in un quadro più ampio, in cui si parla sia di ciò che oggi significa intrattenimento sia di quelli che, in teoria, dovrebbero essere gli obiettivi di chi fa arte – o, almeno, di chi dice di farla.

Cosa vedere:

Come vederlo:

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