Rheingold, il film di Fatih Akin è un gangster movie che parla di integrazione. Intervista

Cinema

Lorenzo Mantelli

Il regista tedesco presenta al Biografilm festival 2023 il suo ultimo lungometraggio. "Un'opera pazza", dice a Sky TG24, "la sfida più difficile che abbia mai affrontato su un set". Tra dramma, commedia e biopic, in scena la vita incredibile del rapper curdo Xatar, da profugo a criminale, fino a diventare artista di successo dietro le sbarre

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Crazy, pazzo. C'è una parola che più delle altre Fatih Akin ama ripetere per descrivere la sua ultima fatica, Rheingold, distributo in Italia da I Wonder Pictures e in sala a partire dal 27 luglio. Un film difficile da inquadrare e, ancor più, da sintetizzare per chi non ha trascorso con gli occhi incollati allo schermo i 140 minuti del nuovo lungometraggio del regista tedesco, proiettati a Bologna in occasione delle giornate conclusive del Biografilm festival edizione 2023. Dramma, commeda, azione, biopic: tutto si mischia nel racconto della vita sulle montagne russe di Giwar Hijabi, alias Xatar, profugo, criminale, rapper e infine milionario, protagonista del volume biografico dal quale è stato tratto il film.

"Il film più complesso e ambizioso della mia carriera"

Un libro che ha folgorato Akin, Orso d'Oro al Festival di Berlino 2004 con La sposa turca, al punto da spingerlo ad acquisirne i diritti per un lavoro della cui realizzazione non era certo nemmeno lui . “Il soggetto del film che avevo in testa era un un altro”, spiega Akin al pubblico prima della proiezione, “ma con Rheingold ho trovato qualcosa in più di un piano B”, realizzando “il film più complesso e ambizioso della mia carriera”. Un'opera eclettica, spiega oggi il regista nell'incontro con Sky TG24, “una riflessione sulla Germania e sulla vita”, che, proprio come Rheingold, non segue sentieri lineari, ma si dipana su più generi e, verrebbe da dire, registri narrativi.

Akin Bologna
Lorenzo Mantelli

La storia, come detto, è quella di Xatar (“pericolo” nella lingua del protagonista, ndr), rapper curdo cresciuto in Germania dopo essere scampato, poco più che in fasce, alla repressione del regime dell'ayatollah Khomeini. L'infanzia nel ghetto, l'abbandono del padre e la scalata da piccolo pusher di quartiere a criminale di rango sono solo parte del percorso accidentato vissuto dal protagonista,interpretato da un convincente Emilio Sakraya, il cui climax è forse rappresentato dall'incisione del primo disco dietro le sbarre.

"Un'opera sul potere della volontà"

È questo, per stessa ammissione del regista, il momento liricamente più potente del film, espressione del “potere della volontà” di un uomo dalle mille contraddizioni, ossessionato dalla musica e allo stesso tempo dall'avversione per il pianoforte impostogli dal padre. A chi gli chiede se esista una qualche connotazione autobiografica, l'autore, nato in Germania da famiglia turca emigrata negli Anni 70, ricorda i primi anni trascorsi tra bande nei quartieri difficili di Amburgo e la comune madre insegnante. Poi, si schernisce dicendo di “non essere mai diventato un criminale”: tra i due, tuttavia, il backgrond migratorio è molto simie.

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Fatih Akin
Lorenzo Mantelli

Il rapporto personale con Xatar, invece, è descritto minuziosamente da Akin, che ci tiene a ribadire la fiducia accordatagli da Hijabi sin dal giorno del pranzo che li ha fatti conoscere, andato in scena proprio ad Amburgo. “Xatar è stato indispensabile sul set”, dice ora l'autore tedesco. “Gli ho spiegato da subito che volevamo girare un film e non una serie. Lui si è fidato della mia visione e mi ha aperto le porte della sua vita pazzesca, costringendomi a esplorare codici di cui ero letteralmente all'oscuro. Dal linguaggio agli orologi, passando per le scarpe: tutti dettagli che nella scena rap trovano un proprio significato". E sono proprio i dettagli a fare la differenza in Rheingold, che il regista definisce “il film più complesso che mi sia mai trovato a girare”. E non soltanto per la pandemia, che, tra le altre cose, ha costretto troupe e cast a noleggiare un aereo per uscire dal Marocco in pieno lockdown a causa della variante Omicron. 

"Non si possono fermare le migrazioni"

Rheingold, in fondo, come quasi tutto il cinema di Akin, è un'opera che parla, seppur a modo suo, di migrazioni e di un'integrazione che molti in Europa faticano ancora a digerire. “Sono processi che, seppur nella loro complessità, fanno parte da sempre dell'evoluzione umana”, dice il regista, “a cambiare sono soltanto le ragioni che li alimentano”. “Tra chi apre al cambiamento e chi ne è spaventato ci sarà sempre un'opposizone”, aggiunge, “ma non possiamo fingere di ignorare le responsabilità dei Paesi europei nell'alimentare la clandestintà, foraggiando Stati poco democratici per impedire ai rifugiati di trovare una via di fuga”. Alla fine”, conclude, “non è poi così diverso dall'affidarsi a una delle gang che si vedono anche nel mio film”.

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