Arriva in prima visione assoluta in Italia, Fatima, un film di passaporto americano ma diretto dal nostro Marco Pontecorvo, che racconta la vera storia delle più famose apparizioni mariane contemporanee. Con Harvey Keitel e Sonia Braga.
L’8 dicembre è festa nazionale, il primo momento insieme alla pausa di Ognissanti (che tutti ormai chiamano Halloween) per tirare il fiato dopo le ferie d’agosto. Una sorta di antipasto delle vacanze di Natale, che per i milanesi - i quali, beati loro, ci abbinano la commemorazione di Sant’Ambrogio - vale doppio.
Sì d’accordo, ma perché smettiamo tutti di lavorare quel giorno qui in Italia? Per l’Immacolata Concezione, questo lo sanno tutti. Anche se forse non tutti sanno che tale ricorrenza non si riferisce affatto al concepimento verginale di Gesù da parte di Maria ma sancisce piuttosto che la Madonna, a differenza di tutti gli altri comuni mortali, è stata preservata sin dalla nascita dal peccato originale. Eh già perché noi siamo un paese profondamente cattolico, ma molto, molto, secolare...
Un’occasione per approfondire il culto mariano ce la fornisce Fatima, pellicola lusitano-statunitense uscita nelle sale Usa nel 2020 ma ancora mai distribuita in Italia.
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Nostra Signora di Fatima è uno degli appellativi con cui la Chiesa cattolica venera la Vergine Maria, in seguito alle apparizioni avvenute nel 1917 nell’omonima località portoghese: è lì che sorge uno dei più importati santuari mariani del mondo, visitato per la prima volta da papa Paolo VI e poi da papa Giovanni Paolo II. Ed è ancora lì che la produzione del film ha ripreso la messa celebrata da Papa Francesco nel maggio del 2017, esattamente un secolo dopo l’accadimento miracoloso. Le fotografie di questi eventi sono poste a corredo iconografico dei titoli di coda, quasi a certificare la veridicità di un racconto para-documentaristico, che ricalca fedelmente lo svolgimento dei fatti.
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Eccoli: il 13 maggio 1917, mentre badavano al pascolo, tre giovani pastori, Lucia dos Santos e i suoi cuginetti Jacinta e Francisco Marto (rispettivamente di 10, 7 e 9 anni), ricevono la visita di una donna vestita di bianco e col rosario in mano: la Vergine Maria. La rivelazione di questa apparizione genera alcune sospettose diffidenze e veri e propri fenomeni di fanatismo religioso, autentici miracoli e repressioni politiche. Una storia romanzesca che meritava di essere raccontata.
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La produzione si è affidata all’italiano Marco Pontecorvo regista della serie targata Sky, Alfredino - Una storia italiana e figlio di Gillo, uno dei più importanti registi del Novecento che praticò un cinema eminentemente politico, a partire dal titolo più celebre della sua filmografia, La battaglia di Algeri. Quando ha ricevuto il copione di Fatima, Marco ha messo subito in chiaro una cosa: non avrebbe diretto un film dogmatico; da uomo laico, per quanto rispettoso delle sensibilità religiose, avrebbe invece realizzato un film in cui il racconto dei fatti provenisse da uno sguardo plurale e fosse animato dal beneficio del dubbio.
Decide quindi di costruire il soggetto con una drammaturgia a scatole cinesi facendo raccontare gli avvenimenti reali alla protagonista ormai anziana, divenuta la monaca carmelitana Suor Lucia; la quale viene incalzata, nel 1989, da un certo professor Nichols, scrittore oltre che depositario del punto di vista laico e illuminista. Il racconto del film si svolge così su un piano alternato: le vicende storiche del ’17 vengono continuamente interpolate dal dialogo che le evoca oltre settant’anni dopo, e le mette in questione. Se l’anziana religiosa si cruccia pervia che “il mondo non abbia ascoltato il messaggio di pace della Vergine Maira”, lo studioso venuto a intervistarla ribatte che si è però trattato di “un messaggio di sofferenza ed espiazione.” Se la donna sostiene che “la fede è la ricerca della verità, che comincia dove termina la comprensione” l’uomo replica che si tratta però di “una verità che genera speranze irrazionali”.
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La stessa dicotomia tra la forza irrazionale della fede e il potere della logica si ripropone anche sul piano politico; in un paese, il Portogallo, diventato da poco una repubblica laica. Da un lato ci sono i reduci di guerra accolti come eroi, che hanno difeso il paese contro un passato feudale in cui imperavano le superstizioni religiose; dall’altro le frotte di concittadini, che si assiepano davanti alla porta di casa dei veggenti, chiedendo ai bambini di intercedere per loro con la Vergine Maria: chi vuole la guarigione di un figlio, chi la salvezza di un disperso, etc. Vediamo ancora il fatalismo disperato dei diseredati alla ricerca della grazia divina, come a Lourdes, come al Divino Amore; e il pugno dell’autorità politica che fa sbarrare le porte delle chiese. La fede ottusa della madre di Lucia, che vuole che la bambina conduca una vita all’insegna della penitenza proprio perché il fratello ritorni sano e salvo dalla guerra; e la repressione politica della religione come oppio dei popoli, contrastata dal sindaco progressista.
La storia racconta che i tre piccoli veggenti non ritratteranno mai le proprie tesi, e dalla loro esperienza germinerà un fenomeno di devozione di massa la cui eco giunge fino a Lisbona, e quindi – come si diceva – giù giù fino ai culti odierni.
Interessante anche il modo sfaccettato in cui viene sbozzato il carattere di Lucia, personaggio sommamente virtuoso da cui però sembrerebbero scaturire soltanto sventure: il sindaco la affida alle cure di una psichiatra, il vescovo la esorta ad abiurare, i parenti dei miracolati mancati le danno della pazza, della superstiziosa e della figlia del diavolo. Persino il padre la abbandona dopo che i fanatici religiosi gli rovinano il raccolto. Viene progressivamente ripudiata da tutti, come capita a tutte le persone che procedono coraggiosamente contro corrente.
Insomma, pur girando un film su commissione, Pontecorvo riesce a sfuggire alle trappole dell’opera agiografica, ricalcando le orme del cinema religioso di variante miracolistica, nel solco di opere come Bernadette; storia romanzata sulla veggente che avrebbe assistito alle apparizioni della Madonna a Lourdes, grazie a cui Jennifer Jones vinse il suo unico Oscar.
Nel ruolo del professor Nichols troviamo un mostro sacro del cinema hollywoodiano come Harvey Keitel, doppiato in questa circostanza da Massimo Popolizio; in quello della anziana Suor Lucia c’è Sonia Braga, icona del cinema brasiliano che, sul finire del secolo scorso, diede vita a un pugno di personaggi immortali in pellicole ricavate dalla letteratura di Jorge Amado. La canzone originale Gratia Plena ("Piena di grazia"), composta da Paolo Buonvino, è interpretata da Andrea Bocelli.
La morale della favola è forse racchiusa nelle parole pronunciate da suor Lucia: “Dio si palesa a noi, nel modo in cui riusciamo a comprenderlo”, che riecheggiano quelle che Federico Fellini mise in bocca alla signora dal vago accento britannico che attende con altri l’apparizione della Madonna, apparsa in visione a due bambini molto simili a quelli di Fatima: “Del resto, chi cerca Dio lo trova dove vuole”.
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