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Arancia Meccanica, dopo 50 anni il libro “Il Cubo di Kubrick” svela i segreti del film

Cinema

Paolo Nizza

Scritto da Giancarlo Grossini e pubblicato da Bietti Edizioni,  “Il cubo di Kubrick. 'Arancia meccanica' 50 anni dopo e per sempre" racconta le infinite connessioni di un capolavoro uscito in Italia nel 1972. Tra Freud e Jung, tra Achille Lauro e Haruki Murakami, la sorprendente analisi e psicoanalisi di un lungometraggio fluido e sempre attuale. Un film che è molto più di un film

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Leggere Il cubo di Kubrick. Arancia meccanica 50 anni dopo e per sempre è come bere un bicchiere di Latte+: È roba che ti fa robusto, ma nient’affatto incline all’ultraviolenza. Anzi ti rende fluido e apre le porte degli infiniti mondi presenti nel capolavoro firmato dal regista americano naturalizzato britannico che esordì al cinema a New York nel dicembre del 1971. In Italia arrivò nel settembre del 1972, dopo essere stato presentato con successo alla Mostra del Cinema di Venezia. E il pregio di questo libro, scritto da Giancarlo Grossini e pubblicato da Bietti, è quello di  farci arrovellare in maniera assai piacevole e fruttuosa il Gulliver su un’opera labirintica e stupefacente. Un lungometraggio che ricorda il  noto poliedro magico creato dal professore di architettura e scultore ungherese Ernő Rubik. Una enigmatica pellicola con 6 facce composte da 9 elementi rotanti. Un’opera spaventosamente profetica, considerato i tempi in cui viviamo.

Arancia Meccanica, tra Freud, Fedez e la Gioconda

Giancarlo Grossini, storica firma del Corriere della Sera, indossa i panni di un Drugo brillante, autorevole e gentile e ci svela pagina dopo pagina la sua smisurata passione per Arancia Meccanica. Il piacere dell’autore nel  rivedere e riascoltare in loop il capolavoro di Stanley Kubrick ci introduce in un’abbacinante vertigine di attinenze, collegamenti, concatenazioni, congiunzioni, legami, nessi, spesso sorprendenti se non addirittura impensabili. Le parole scorrono veloci, parimenti alla Durango 95, e il libro si trasfigura in un affollato crocevia di strade perdute in cui si incontrano Sigmund Freud e Gustav Jung, Haruki Murakami e Jacques Lacan, Il premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi e il neurochirurgo Arnaldo Benini. Sicché il primo piano di Malcolm McDowell nei panni di Alex che dal Korova Milk Bar ci osserva minaccioso e beffardo ha la stessa forza misteriosa del sorriso della Gioconda di Leonardo. E non è un caso che quell’immagine sia stata influenza negli ambiti più diversi: dagli striscioni di gruppi ultra di Sampdoria e Juventus alla Nail Art griffata Fedez del 2021, dal look di Boy George e dei Culture Boys al pirata Jack Sparrow interpretato da Johnny Depp. Come se Arancia Meccanica fosse interconnessa con tutto ciò che vediamo e sentiamo. Un film che si diverte ad apparire e scomparire a proprio piacimento, tipo il gioco del rocchetto di freudiana memoria, citato giustamente nel libro.

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Da una centrifuga di generi al Latte+ di Achille Lauro

Nel trasportare sul grande schermo l’omonimo romanzo di Anthony Burgess, Stanley Kubrick ha miscelato una schidionata di generi cinematografici. Dal porno al western, dalla commedia all’horror. Ci sono più stilemi in Arancia Meccanica che distillati in un cocktail Long Island. Manca solo il melodramma e peraltro, come ha rilevato lo stesso in un’intervista nel film non viene mai pronunciata la parola amore. Eppure il linguaggio adoperato dal protagonista Alex è un florilegio di vezzeggiativi o diminutivi di termine come “peccatuccio”, "droguccia”, “fratellino”. D’altronde, il libro edito da Bietti ci insegna il trionfo dell’Es, l’apologia di Narciso, la marcia trionfale dell’inconscio. Nessuna cura Ludovico può guarire Alex, non è possibile mettere il drugo in un angolo. Forse per questo non riusciamo a odiare Alex, nonostante le sue spaventose ed efferate gesta. Perché è uno specchio distorto ma rivelatore del nostro lato oscuro, al netto di quelle uniformi candide (anche se per alcune tribù africani il bianco è il colore della morte).

Arancia Meccanica è un frutto cinematografico talmente potente e inebriante che funzionerebbe alla perfezione anche se venisse sostituita la colonna sonora. E l’autore cita tre canzoni di Achille Lauro come Latte +, Generazione X e Barrilete cosmico che suonerebbero davvero karashò, parimenti a Mahler al posto di Beethoven.

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Le analogie con H2S di Roberto Faenza

Nel perpetuo gioco di specchi che anima il cubo di Kubrick, c’è spazio anche per una preziosa intervista a Roberto Faenza. Con una geniale intuizione, l’autore scopre diverse corrisponde tra Arancia Meccanica H2S, opera maledetta, censurata e oggi quasi invisibile girata dal cineasta italiano nel 1968. Non sapremo mai se Kubrick si sia ispirato a questa pellicola, ma il dato certo che all’epoca Faenza era amico e condivideva un appartamento a Londra con Anthony Burgess, l’autore del romanzo da cui è tratta la pellicola. Insomma, la conoscenza aumenta il mistero. E il cubo di Kubrick è un favoloso rompicapo con cui è davvero eccitante ed emozionante dilettarsi.  Un'opera che al pari dei cervelluti, si affida all'ispirazione., perché, come chiosa magistralmente Grossini:

“Dentro Arancia meccanica ritrovo cinema, psicoanalisi (materia che sembra non interessare più), piacere della visione, e l’ossessione di dover far luce su qualcosa di magmatico, di non chiaro, di eccentrico che emerge da un film. Vero? Falso? Giusto? Sbagliato? Folle? Intelligente? Son le domande che mi pongo, che tutti possono porsi. Con una certezza: Kubrick era un genio, e il suo Arancia meccanica non è solamente un film". 

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