La donna per me, la recensione del film con Alessandra Mastronardi e Andrea Arcangeli

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Alessio Accardo

Arriva ioggi 23 maggio su Sky Cinema, e in streaming su NOW, il film diretto da Marco Martani, sceneggiatore di Maschi contro FemmineLa mafia uccide solo d’estate e Se Dio vuole; con Stefano Fresi, Eduardo Scarpetta e col cantante Francesco Gabbani, al suo debutto da attore.

 

What if. Si definisce così il meccanismo narrativo di certi film come Sliding doors, che postulano l’assurdo assunto secondo il quale, in ragione di un evento fantastico, le vite dei personaggi prendono delle traiettorie differenti rispetto a quelle intraprese nella realtà. È questo il modello di riferimento de La donna per me, ritorno alla regia dello sceneggiatore Marco Martani, dopo l’esordio del 2007 con Cemento armato, film che gli valse una nomination ai David di Donatello come miglior regista esordiente.

Prima, durante e dopo, Martani ha sviluppato una rilevantissima filmografia scrivendo una dozzina di cinepanettoni per Neri Parenti, assieme al sodale Fausto Brizzi, di cui è diventato sceneggiatore di fiducia quando questi è passato dietro alla macchina da presa. Non solo, nel 2009 i due hanno fondato, assieme a Lorenzo Mieli e Mario Gianani, la casa di produzione e distribuzione “Wildside”, elemento fondante assieme ad altre quattro consorelle del progetto “Vision Distribution”. Tutto questo per dire che il regista de La donna per me ha sin qui attraversato, autorevolmente, tutti i piani artistici e industriali del cinema italiano, maturando una consapevolezza a 360°.

Ecco perché questa commedia, scritta in collaborazione con Eleonora Ceci (era una giovane attrice del cast di Notte prima degli esami; con un percorso professionale perciò simile alla regista di Settembre, Giulia Steigerwalt), appare calibratissima nella scelta accurata degli ingredienti narrativi e drammaturgici; e delle strategie merceologiche, che in un cinema che vuol farsi prodotto spendibile, oltre che opera dell’ingegno artistico dei suoi autori, non devono essere considerate con spocchiosa riluttanza. Ci sta riferendo al titolo del film che, come accade sempre più spesso nelle nostre commedie, ricalca quelli del canzoniere del nostro repertorio pop. Si pensi, solo per stare a Martani, alla fortuna toccata (anche in virtu’ del suo titolo) a Notte prima degli esami. Qui il titolo del film è invece frutto di una sorta di ibridazione tra due canzoni diversissime tra loro ma egualmente celeberrime: È l'uomo per me, inciso da Mina nel 1964, e Tu sei l'unica donna per me, strepitoso successo commerciale di Alan Sorrenti del 1979.

 

La trama riprende l’espediente di Ricomincio da capo - il cult-movie di Harold Ramis in cui un insuperabile Bill Murrey rimaneva intrappolato in un circolo temporale rivivendo sempre lo stesso giorno (il “giorno della marmotta”) - adeguandolo a un tema apparentemente frivolo e invece assai pregnante: i dubbi prematrimoniali. Un tema nel quale chiunque abbia pronunciato il fatidico sì non potrà fare a meno di immedesimarsi: alzi la mano chi dopo quel giorno memorabile non si sia prima o poi chiesto “chi me lo ha fatto fare?”.

Ma non basta, perché il copione allegro ma serissimo di Martani-Ceci indaga qualcosa di molto profondo, che esula dal mero campo delle scelte sentimentali, e investe quello ben più ampio dei dubbi amletici che hanno attanagliato prima o poi ogni essere umano di qualunque sesso. Dubbi generati dalla paura di accontentarsi, dalla ossessione nevrotica di spaccare il capello in quattro, dal bisogno un po’ balordo di puntare all’eccellenza dimenticandosi che – come diceva Metastasio - “Il buon si perde talor, cercando il meglio”.

Il film racconta la storia di un giovane uomo, interpretato dal pescarese Andrea Arcangeli (visto nella serie-tv Romolus, ma era anche Roby Baggio ne Il divin codino), che a un passo dall’altare viene assalito da una sorta di attacco di panico, iniziando a domandarsi perlappunto “what if”, ovvero: che cosa succederebbe se anziché convolare a giuste nozze io mi concedessi tutte quelle possibilità che altrimenti mi sarebbero inesorabilmente precluse? Le avventure erotiche, coltivare un talento musicale negletto, la carriera d’avvocato, e via paventando. Questo inizia a favoleggiare il nostro Andrea (così anche nel film), sebbene la promessa sposa abbia la solare luminosità di un’attrice tra le più eminenti del nostro cinema, quella Alessandra Mastronardi balzata agli onori della cronaca ai tempi del televisivo Romanzo criminale e poi transitata – privilegio toccato a pochi – sul set di Woody Allen (To Rome with love).

Il suo problema, di Andrea s’intende, è che questo favoleggiare diventa realtà, sì insomma realtà di celluloide, imprevedibilmente inesorabile e tremenda. Eccolo quindi, alla stregua di un Murray de’ noantri, risvegliarsi ogni santo giorno di domenica 11 aprile, che è poi il giorno in cui era stata fissata la data delle nozze. Ma non nei suoi panni, no: prima è un playboy impenitente, che paga però il fio della sua poligamia; poi un avvocato di grido, agghindato come un dandy farlocco; quindi un rapper con tanto di dreadlock, un po' maudit e un po’ enfant gâté. Insomma, il sogno si trasforma in incubo; in un loop per lui angosciante, per noi comico e buffo.

Ecco quindi che, ancorché non originalissimo, il meccanismo del “come se” finisce per riprodurre in piccolo, metonimicamente, il gioco che il cinema (e la rappresentazione scenica tout court) in definitiva gioca da sempre; e che ne racchiude la sua magia, quella di immaginarci tutti - chi il cinema lo fa e chi lo guarda - nelle vite degli altri, che sono diverse ma identicamente degne di essere vissute. A patto però di rimanere fedeli a sé stessi, insomma di essere chi siamo: un compito mica da poco, a quanto pare, anche se dovrebbe essere la cosa più naturale del mondo.

Poscritto. Occorre fare una menzione speciale di due attori di lungo corso, che qui recitano due personaggi solo apparentemente minori, i genitori della promessa sposa di Andrea nel multiverso in cui interpreta l’avvocato di grido. Si tratta di Pamela Villoresi e Massimo Wertmüller, lui principe del foro privo di scrupoli, quasi un pescecane; lei mamma altoborghese, indifferente a tutto fuorché al suo familismo amorale. Sarebbero sufficienti i loro due camei, nei quali il mestiere e il talento degli interpreti si sposa – lui sì, si sposa – alla perfezione con una scrittura raffinatissima. Guardare per credere.

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