L’amicizia, l’ammirazione, la stima. “Con Ennio ci siamo intesi fin da subito”, dice Giuseppe Tornatore riguardo al rapporto che lo legava al Maestro Morricone, “le domeniche a pranzo erano una consuetudine. Parlavamo di tutto: della musica, delle immagini, della vita”. Con due giorni di programmazione speciale il 29 e 30 gennaio e poi dal 17 febbraio arriva al cinema “Ennio”.
Hanno lavorato e collaborato insieme per oltre trent’anni e il loro rapporto, racconta adesso Tornatore, è stato il più “grosso privilegio della mia vita”.
Immagini di repertorio, decine di interviste e poi il Maestro, che per la prima volta e con fiducia decise di raccontarsi davanti alla telecamera.
Ecco come è nato il film documentario.
Ecco come Giuseppe Tornatore racconta Ennio Morricone in questa intervista.
Tante cose mi hanno colpita del suo film ma ne cito subito una: “La bellezza nel vedere il maestro lavorare, scrivere le note sul foglio con velocità, grazia e naturalezza”.
Condivido la sua emozione perché io lo penso sempre nell’atto di scrivere. Ho avuto la fortuna di vederlo scrivere in diverse circostanze e anche a me colpiva molto la semplicità e la rapidità della sua scrittura. Potrei dirle che secondo me lui non scriveva ma trascriveva perché la musica era già composta nella sua testa e l’atto di scriverla era soltanto il trasformarla da un supporto a un altro, solo questo può giustificare la sua velocità! Mi ricordo che chiunque fosse presente a un momento in cui lui fosse impegnato a scrivere, tutti avevano questa stessa sorpresa. Il fatto insolito era anche che scrivesse non ricorrendo a uno strumento, come il musicista che scrive davanti al pianoforte, (per lui questa era una cosa assurda). Ecco lui scriveva senza nulla, solo con la carta, quindi davvero direi ancora una volta che trascriveva quello che aveva in mente e questo era incredibile.
Amicizia e affetto vi hanno legati: ma lei come descriverebbe il rapporto che avevate?
È stato un rapporto talmente importante e bello che direi che è stato il privilegio più importante della mia vita professionale e non solo. Per questo non mi è facile descriverlo. Direi che ci siamo intesi fin da subito e poi questo rapporto è cresciuto in reciproca fiducia e credo anche in reciproca simpatia. Insomma abbiamo lavorato e ci siamo frequentati per più di trent’anni. È diventata una consuetudine istintiva e familiare. Quando ad esempio avevo in mente una storia che mi convinceva, la raccontavo a Ennio prima ancora che al produttore e lui nel frattempo incominciava già a comporre delle cose e me le faceva ascoltare! Talvolta poi il fatto stesso che lui mi facesse ascoltare delle idee musicali mi dava un impulso in più nella scrittura della sceneggiatura. Spesse volte abbiamo lavorato di pari passo scambiandoci gli “stadi” del nostro lavoro. Ci sentivamo costantemente, ci vedevamo a cena, la domenica a pranzo, parlavamo sempre dei nostri temi preferiti che erano appunto la musica, il rapporto tra la musica e le immagini. Lui mi raccontava cose della sua vita e mi chiedeva ovviamente della mia. Era un rapporto di grande corrispondenza.
Personalmente ho avuto poche occasioni per incontralo e intervistarlo, occasioni nelle quali ho avuto la sensazione che non amasse parlare di sé e nemmeno raccontarsi. Immagino che con lei non ci sia stato questo freno.
Guardi i produttori mi avevano chiesto se volessi fare un documentario su di lui e io avevo risposto: “Sì, se Ennio accetta di raccontarsi”. Poi loro sono andati da Morricone e gli hanno chiesto: “Vorrebbe raccontarsi in un documentario?” e lui ha risposto: “Sì, se lo dirige Giuseppe”. A quel punto è stato una sorta di atto reciproco. A parte il rapporto che avevamo, credo che nel film non abbia avuto quella sensazione che spesso hai quando parli con un giornalista del telegiornale, ossia quella sensazione di dover dare risposte corte e brevi. Questa cosa sono certo che gli creasse una sorta di ansia per cui risultava non empatico e anzi abbastanza freddo. Invece per il film gli dissi subito: “Ennio guarda qui non hai limiti e mi puoi raccontare tutto”. Abbiamo impiegato 11 giorni, quindi si è lasciato andare e ha accettato l’idea che fosse lui a raccontare sè stesso e che poi intorno a lui ci fosse invece un coro di persone che lo avevano conosciuto, che avevano lavorato con lui a vari livelli e che gli facessero in qualche maniera non da contrappunto ma da eco musicale”.
E proprio tra tutte le persone che ha intervistato e che le hanno parlato del Maestro, chi l’ha colpita di più per un aneddoto, un ricordo, una riflessione?
Ho intervistato davvero tantissime persone e devo dire che mi hanno sorpreso tutti, chi più chi meno. Ho trovato ovunque un’attitudine di grande affetto e ammirazione. Se dovessi poi nominare qualcuno che mi ha sorpreso più degli altri direi Piovani, Hans Zimmer o Pat Metheny che ad esempio ha detto delle cose su di lui sincere ma talmente straordinarie da sembrare esagerate. Morricone aveva questo atteggiamento per cui non lo si poteva che ammirare, provavi per forza ammirazione per questa sua misteriosa formula esistenziale e professionale. Una persona così semplice, così spiritosa ma allo stesso tempo così pragmatica e rigorosa, che aveva una genialità della quale lui stesso non era consapevole. Tutto questo creava una formula di empatia in chiunque si avvicinasse a lui, anche in quelli con i quali magari non ha avuto un rapporto perfetto. Ad esempio ho voluto anche rivolgermi a qualcuno con cui il rapporto professionale non era andato proprio benissimo, come è normale che accada. Ebbene, persino in quei casi con tutta l’amarezza di un rapporto che non ha funzionato bene, io però ho avvertito la considerazione e l’ammirazione per questa figura così unica.