Tra potere, creatività, ambizione, tradimento, vendetta e omicidio, la pellicola ispirata alla storia vera della famiglia che ha fondato la casa di moda italiana Gucci. Al cinema dal 16 dicembre
“Print the legend”, ovvero, “Manda in stampa la leggenda”. Con questa celebre battuta, si conclude l’epocale western “L’Uomo che uccise Liberty Valance”. E anche se House of Gucci non è ambientato nel far west, per il suo ventisettesimo Ridley Scott sceglie consapevolmente di riscrivere la realtà Nell'adattare il libro “House of Gucci. Una storia vera di moda, avidità, crimine”. scritto da Sara Gay Forden, l’ottantaquattrenne regista si diverte a sparigliare le carte. Parimenti a un mago, il cineasta trasforma la cronaca nera in una sardanapalesca e audace telenovela Insomma, il biopic deferente e rispettoso non abita qui, in questa fiammeggiante melò in salsa pop. Amore e morte si abbracciano in questa vertiginosa ed elegante danza macabra che gioca con i cliché del Bel Paese; tant’è che il film è recitato in inglese con l’accento italoamericano e con l’utilizzo di e alcune parole italiane.
House of Gucci, un affare di famiglia
Sullo sfondo della Milano da bere che digerisce tutto, l’atelier fiorentino viene trasfigurato in una casata di “Game of Thrones”, in una tragedia shakespeariana, in una saga stile “Padrino”. I parenti mutano in serpenti. Padri, figli, fratelli, mogli si sfidano a colpi di inganni, carte bollate e avvocati per poter sedere sul trono di Spade dell’Haute Couture e riportare il marchio ai lustri del passato. Ma Patrizia Reggiani va oltre le diffide e gli atti notarili. Perché parliamo di un’eredità per cui vale la pena uccidere. Ça va sans dire, Gucci è un nome dal suono dolce, seducente. Un marchio che è sinonimo di ricchezza, di stile, di potere. Ma il nome Gucci è pure una maledizione. E talvolta, il concetto che la famiglia venga prima di tutto può ritorcersi contro i tuoi stessi famigliari. Perché se la saggezza è nel sangue, il denaro no.
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House of Gucci, amore e morte tra Lady Gaga e Adam Driver
“Ogni nuova moda è rifiuto di ereditare, è sovvertimento contro l’oppressione della vecchia moda; la moda si vive come un diritto, il diritto naturale del presente sul passato.” In House of Gucci, Patrizia Reggiani prende assai sul serio questo aforisma di Roland Barthes. Giustamente nominata ai Golden Globe, come migliore attrice Lady Gaga, dimostra ancora una volta la sua versatilità. Audace, quando scrive con il rossetto il suo numero di telefono sul vetro dello scooter di Maurizio Gucci, favolosa in reggicalze bianco quando amoreggia sulla scrivania dell’ufficio con suo marito, la pop star è il punto forte del film, e senza dubbio la più brava di tutto il cast. Insomma, dinamite pura. Altrettanto, in parte, Adam Driver. Con l’occhiale importante, da sempre tratto distintivo di Maurizio Gucci, l’attore si cala perfettamente nelle vesti del rampollo che perde la trebisonda per questa Elizabeth Taylor made in Italy.
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House of Gucci, il resto del cast
La performance di Jared Leto è quella che più ha diviso la critica. Non si sa moltissimo di come fosse davvero Paolo Gucci. Certo, l’utilizzo dell’intercalare “Boof” per testimoniare la propria insoddisfazione, la passione per i colori pastello coordinati con il marrone, l’amore per i piccioni, rendono il personaggio una sorta di sgargiante fool shakespeariano, soverchiato dalle proprie ambizioni. Il padre di Paolo è interpretato da Al Pacino, che ammanta la figura di Aldo Gucci di un coté a metà strada tra “The Godfather” e “Dinasty”, mentre Jeremy Irons, nei panni del patriarca Rodolfo, padre di Maurizio e fratello di Aldo è una sorta di dolente Re Lear, obnubilato dai memorabilia cinematografici della moglie defunta. Infine, Salma Hayek, imbruttita per ragioni di copione, è Giuseppina Auriemma, detta “Pina”, la maga, nella realtà condannata perché ritenuta intermediaria tra Patrizia Reggiani e l’assassino di Maurizio Gucci.
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House of Gucci, una travolgente colonna sonora
Tra efficaci invenzioni di sceneggiatura, come la foglia d’oro inserita all’interno del mocassino indossato da Clark Gable nel film “Mogambo” e bizzarre scelte di location (perché girare nella romanissima Piazza Mincio, con tanto di fontana delle rane alcune sequenza della morte di Maurizio avvenuta a Milano in via Palestro?), House of Gucci ci delizia con una colonna sonora davvero eterogenea. Si va dalla la spensierata “La ragazza del maglione” di Pino Donaggio allo ieratico “Coro a bocca chiusa” di Madama Butterfly. In mezzo c'è spazio per “Ritornerai” di Bruno Lauzi e “Here Comes The Rain Again” degli Eurythmics, E tra” Hearth Glass” di Blondie e “Ashes to Ashes” di David Bowie.Il film finisce con “Baby Can I Hold You Tonight” cantata da Tracy Chapman & Luciano Pavarotti”. Il tenore italiano intona i versi “Perdonami: È una parola che tu non dici mai”.
Si sa che La famiglia Gucci non ha perdonato a Ridley Scott per questo ritratto di famiglia in un inferno”. Vedremo cosa accadrà con il pubblico. Comunque, se non si cerca un docu-dramma veritiero, ma una sofisticata soap-opera che centrifuga il lusso con il camp, l’intrattenimento è assicurato.