E' morta Beryl Cunningham, la musa del Dio Serpente

Cinema

L'attrice giamaicana è stata il sogno proibito di una generazione. Dalla metà degli anni '80 aveva chiuso ogni rapporto con la sua vita precedente, facendo progressivamente perdere le sue tracce

Il ricordo di Beryl Cunningham si era scolorito nel tempo, forse per volontà stessa dell'attrice e modella giamaicana che si era ritirata a vita privata negli anni

'80. Oggi però il figlio adottivo, Oliviero Vivarelli, da notizia della scomparsa della madre (appresa anche da lui per caso) che si è spenta l'11 dicembre scorso nella clinica San Raffaele di Borbona (provincia di Rieti) all'età di 74 anni ed è sepolta nel cimitero della cittadina laziale.
 

Nata a Montego Bay (Giamaica) l'8 agosto 1946, Beryl Cunningham è stata però per piu' di un decennio il sogno proibito degli spettatori italiani e l'incarnazione di una tentazione esotica e libera che andava di pari passo con la stagione della

liberazione sessuale. Figlia di un docente universitario, di famiglia agiata, lascia presto la Giamaica per trovare fortuna come modella nella "Swinging London". Grazie a un servizio senza veli su "Playmen" viene notata da un produttore italiano che le

offre un ruolo nel film "Le salamandre" (1969), diretta da Alberto Cavallone. La sua bellezza caraibica (fisico perfetto, pelle ambrata, sguardo penetrante) fanno immediatamente scalpore e attirano l'attenzione di Piero Vivarelli, regista, produttore, seduttore impenitente e figura carismatica sulla scena italiana di quegli anni.

Beryl nel frattempo non è stata a guardare, passando da un set all'altro con registi come Michele Lupo, Umberto Lenzi ("Cosi' dolce, cosi' perversa"), Duccio Tessari ("La

morte risale a ieri sera"): cinque film in meno di due anni. Ma e' Vivarelli il suo pigmalione che la sceglie per un melodramma erotico-passionale da girare a Santo Domingo. "Il Dio serpente" e' un'impresa tipica dell'epoca: pochi soldi, molta fantasia, un produttore estroso come Alfredo Bini, una promessa del cinema erotico (Nadia Cassini), un aitante attore di colore (Evaristo Marquez) scoperto da Gillo Pontecorvo per "Queimada". Beryl Cunningham interpreta una ragazza del posto (Stella) che inizia ai riti voodoo l'inquieta Paola, approdata sull'isola col marito in vacanza. La donna si invaghisce del nativo Djamballa (incarnazione magica del Dio Serpente) e per lui dimentica il marito e l'amante italiano. A decretare il successo della pellicola fu soprattutto il tema della colonna sonora, una hit di Augusto Martelli poi rivendicata anche da Dario Baldan Bembo e trasmessa ossessivamente dalle radio dell'Italia intera.

Due anni dopo, nel 1972, Piero Vivarelli che nel frattempo l'aveva sposata, cercò di riportare al successo Beryl con un fantasioso "Decamerone nero" sulla scia del cinema erotico allora di moda. Nel frattempo pero' l'aveva imposta anche nel mondo della tv e della musica (era pur sempre l'autore di "24.000 baci") ottenendo per lei la conduzione del "Cantagiro" insieme a Daniele Piombi, uno spettacolo tutto suo e una fortunata cover di "Tua", grande successo di Jula De Palma. Il nome di Beryl Cunningham si trova in numerosi film di genere del decennio (dall'horror al thriller, dalla commedia all'erotico) e perfino Ettore Scola la sceglie per "Brutti, sporchi e cattivi" del 1976. Girerà per l'ultima volta con Giuliano Carmineo in "Il

giustiziere della strada" (1983), ma nel frattempo si è separata dal marito, ha perso i contatti col figlio, si è data alla creazione di moda nella sua boutique "Fly Fashion" , alla pubblicazione di un libro di ricette ("la cucina caraibica"), all'esoterismo. Dalla metà degli anni '80 aveva chiuso ogni rapporto con la sua vita precedente, facendo progressivamente perdere le sue tracce.

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