Hammamet, Pierfrancesco Favino è Craxi nel biopic di Amelio

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Nastro d’Argento a Pierfrancesco Favino, diretto da Gianni Amelio per il racconto degli ultimi giorni di Bettino Craxi durante il suo esilio nella città tunisina. In onda in prima tv Giovedì 23 luglio alle 21.15 su Sky Cinema Due. Disponibile anche on demand su Sky e in streaming su NOW TV

 

 

 

«Sono passati vent’anni dalla morte di uno dei leader più discussi del Novecento italiano, e il suo nome, che una volta riempiva le cronache, è chiuso oggi in un silenzio assordante», così recita la sinossi di “Hammamet”, il film di Gianni Amelio realizzato proprio in occasione del 20° anniversario dalla morte di Bettino Craxi, che arriva in prima visione su Sky Cinema domani, giovedì 23 luglio alle 21.15 su Sky Cinema Due, disponibile anche on demand su Sky e in streaming su NOW TV.

 

Protagonista della pellicola è Pierfrancesco Favino, recentemente premiato con il Nastro d’Argento per la sua interpretazione di Bettino Craxi, di cui vengono raccontati gli ultimi giorni in esilio proprio nella città tunisina, rileggendo le pagine più controverse della recente storia d’Italia per raccontare la caduta, sia umana che politica, di uno dei leader assoluti della Prima Repubblica.

Basato su testimonianze reali, il film non vuole essere una cronaca fedele né un pamphlet militante. L’immaginazione può tradire i fatti “realmente accaduti” ma non la verità. La narrazione ha l’andamento di un thriller, si sviluppa su tre caratteri principali: il re caduto, la figlia che lotta per lui, e un terzo personaggio, un ragazzo misterioso, che si introduce nel loro mondo e cerca di scardinarlo dall’interno.

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Perché un film su Craxi?

Hammamet non è un film “su Craxi”, anche se è lui il protagonista e il motore del racconto, che comunque si concentra più sull’uomo che sul politico. Sono partito da una proposta del produttore, che voleva un film su Cavour e sul suo legame con la figlia. Allora mi si è accesa la classica lampadina: perché non portare la storia un secolo più avanti, perché non parlare di qualcosa più vicina ai giorni nostri, una vicenda ancora calda, non “sanata”? Così mi è venuto in mente Craxi. Da quello che sapevo, sua figlia gli è stata accanto nella buona e nella cattiva sorte. Non volevo fare una biografia, né il resoconto esaltante o travagliato di un partito. Meno che mai un film che desse ragione o torto a qualcuno. Volevo, come penso sia compito del cinema, rappresentare comportamenti, stati d’animo, impulsi, giusti o sbagliati che fossero. Cercando l’evidenza e l’emozione. Ho provato ad avvicinarmi ai personaggi quel tanto che permettesse non a me, ma allo spettatore, di giudicarli. Se avessi voluto fare un film in gloria di Craxi, magari mi sarei concentrato sulla notte di Sigonella, non sulla sua caduta. Ho scelto di metterlo a confronto, nei suoi ultimi mesi di vita, con una figlia appassionata e decisa, che ho chiamato Anita, come Anita Garibaldi.      

Da quali suggestioni è nato il rapporto padre‐figlia?

Tre riferimenti: Elettra/Agamennone, Cassandra/Priamo, Cordelia/Re Lear. Elettra è una ribelle che combatte per la memoria del padre ucciso e vuole vendetta. Cassandra, col suo potere di prevedere le sventure, non riesce a penetrare nell’animo di Priamo. Cordelia è meno docile delle sue sorelle e perciò il suo affetto arriva tardi al cuore di re Lear. Sono tre donne forti, più degli uomini. Usano il sentimento filiale per aiutare il genitore contro se stesso, oltre che contro il fato avverso. Non so nemmeno ora se un personaggio così ambiziosamente “alto” corrisponda davvero alla figura che c’è nel film, ma non volevo fotografare la realtà, forse per paura che la realtà mi avrebbe tolto un po’ di spinta emotiva. Comunque mi sono dovuto confrontare con un nucleo famigliare nel quale, confesso, sono entrato in punta di piedi e un po’ di diffidenza... La prima persona che ho incontrato è stata la vedova, la signora Anna Craxi, poi Stefania Craxi, e infine Bobo Craxi. Ci siamo visti principalmente nella villa di Hammamet, dove poi ho girato gran parte del film. Di Anna Craxi ho scoperto un’indole cinefila inaspettata, e le ho reso omaggio. Una volta mi ha domandato quale fosse secondo me il più bel western di Anthony Mann. Le ho risposto: Là dove scende il fiume. E si vede alla televisione…  

I riferimenti sono anche a Le catene della colpa di Jacques Tourneur e a Secondo amore di Douglas Sirk.

Perché, guardandolo da una certa prospettiva, Hammamet ha un andamento un po’ western, un po’ noir. E vorrebbe, a suo modo, essere un melodramma. Nel film di Sirk il televisore che i figli regalano alla madre è mostrato come una prigione. Nella casa del mio film la tivù è sempre accesa. Basta pensare alla sequenza di Porta a porta.   

Lei ha mai condiviso le idee politiche di Craxi?

Non sono mai stato un simpatizzante né ho mai votato socialista, se è questo che intende. Mi ricordo che quando Craxi era all’apice del potere, avevo fastidio della sua costante presenza su tutti i telegiornali e sulla carta stampata. Un giorno lessi un’intervista a Fellini, dove diceva: “Sono stufo di svegliarmi tutte le mattine e vedere in prima pagina, a caratteri cubitali, che cosa ha pensato Craxi la sera prima”. Questa era un po’ la mia posizione. Anche se l’episodio delle monetine davanti al Raphael l’ho sempre disapprovato. Non fu un gesto politico. Le idee si combattono con altre idee, non con sputi, insulti e minacce.       

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