Il Commediante On Demand presenta "Sapore di mare"

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Alessio Accardo

Alessio Accardo

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Oggi, il Commediante vi vuole parlare di Sapore di Mare, uno dei film italiani cult degli Anni 80. Quello che ha descritto una generazione. Che ha lanciato più di una carriera. Che è rimasto nella memoria di tanti

OMAGGIO A CARLO VANZINA

 

A due anni dalla morte di Carlo Vanzina, nel pomeriggio di mercoledì 8 luglio, dalle 15.50 alla seconda serata, Sky Cinema Comedy propone OMAGGIO A CARLO VANZINA, cinque film diretti dal regista romano: la rilettura comica di Romeo e Giulietta de I fichissimi (1981) con Diego Abatantuono e Jerry Calà; I mitici – colpo gobbo a Milano (1994), con Claudio Amendola, Ricky Memphis e una giovanissima Monica Bellucci; l’elogio delle donne con Martina Colombari in Quello che le ragazze non dicono (2000); e infine il penultimo film della sua carriera, Non si ruba a casa dei ladri (2016), con Vincenzo Salemme, Massimo Ghini, Stefania Rocca e Manuela Arcuri.
 

Tutti titoli disponibili anche nella collezione on demand.
 

Noi ci occupiamo del quinto titolo, il più celebre e popolare: Sapore di mare, girato nel 1982 e uscito nelle sale l’anno successivo.

IL CINEMA NELLE VENE: IL FIGLIO DI STENO

 

La commedia all’italiana, dopo aver raccontato le glorie e le miserie della società del boom, si era andata eclissando lentamente nel corso degli anni ’70, anche a causa di un Paese che, tra stragi impunite, terrorismo ed eroina, si era troppo incattivito per consentire ad autori e attori di sviluppare una narrazione umoristica, anche chiaroscurale come era stata quella del genere cinematografico di cui stiamo parlando. Secondo molti osservatori, è stato proprio il più giovane dei suoi cineasti, Ettore Scola, a scriverne più di un epitaffio; prima girando con C’eravamo tanto amati (1974) una sorta di compendio testamentario del genere che lui stesso aveva contribuito ad edificare (scrivendo, tra l’altro, i copioni di capolavori come Il sorpasso e I mostri), quindi realizzandone con La terrazza (1980) un commiato metalinguistico definitivo. Tuttavia, in quel principio di decade (quella degli anni ’80) dei nuovi soggetti si stanno affacciando alla ribalta del cinema comico italiano. Innanzi tutto i cosiddetti nuovi comici come Verdone, Moretti, Troisi, Nuti e Nichetti (tutti, prima o dopo, anche autori di sé stessi); oltre ad alcune figure di transizione come Montesano, Pozzetto e Celentano coi loro corrispettivi registici: Pasquale Festa Campanile e Castellano e Pipolo.

In questa temperie culturale incerta e pionieristica, muove i primi passi un signore che i geni della settima arte ce li ha scritti nel proprio DNA: è Carlo Vanzina, figlio del grande Steno, il regista di Un americano a Roma e di molti film di Totò, spesso diretti in coppia con Mario Monicelli.

Non è dunque un caso se il giovane Carlo inizia a lavorare come aiuto regista proprio di Monicelli, in film come Brancaleone alle crociate (1970) Romanzo popolare (1974) e Amici miei (1975). Deciso a ripercorrere le orme paterne, Carlo non ha altre chance: se si guarda intorno, non vede che cabarettisti, la nuova fucina di talenti comici del decennio, prevalentemente radicata nel nord Italia, con epicentro nel mitico Derby di MilanoEsordisce nel 1976 con Luna di miele in tre, in cui sfrutta la verve comica di una delle coppie più affiatate del momento: Cochi e Renato (con quest’ultimo – Pozzetto, naturalmente - che stava già iniziando ad affrancarsi dal duo, divenendo in breve uno dei fenomeni più considerevoli del periodo). Ma è nel biennio 1980-81, col trittico Arrivano i gatti (1980), Una vacanza bestiale (1981) e I fichissimi (1981), che Vanzina, prima tiene a battesimo cinematografico il quartetto cabarettistico veronese “I gatti di Vicolo Miracoli”, quindi contribuisce all’irresistibile ascesa del loro leader carismatico, un immigrato nato a Catania dal nome molto sudista: Calogero Alessandro Augusto Calà, che diverrà celebre col vezzoso e fortunatissimo nickname Jerry.

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UN CULT-MOVIE NATO PER CASO

Mentre il giovane Vanzina continua a farsi le ossa, cucendo addosso all’altra stella nascente de I fichissimi, Diego Abatantuono (un altro prodotto del Derby, tra l’altro) due opere a loro modo iconiche come Eccezzziunale... veramente (1982) e Viuuulentemente mia (1982); Jerry Calà tenta di capitalizzare un successo che, agli albori degli anni ’80, per lui sembrava davvero inarrestabile.

Ma perché ciò accada c’è bisogno di introdurre un altro protagonista indispensabile: il lariano Claudio Bonivento, un ex produttore discografico con alle spalle esperienze con personaggi del rango di Charles Aznavour e Lucio Battisti, che in quegli anni era diventato il manager di Jerry Calà. Ebbene, è grazie a lui se Sapore di mare - divenuto nel corso del tempo un autentico cult-movie - si farà

Il copione, scritto da Carlo Vanzina insieme al fratello Enrico - da sempre e per sempre il suo sceneggiatore di fiducia e non solo - giace mestamente nei locali della gloriosa Dean film, la casa cinematografica che aveva sin lì prodotto capolavori come Dramma della gelosia (1970), C’eravamo tanto amati e Profumo di donna (1974) e fondata da Pio Angeletti e Adriano De Micheli (il nome della società è infatti una crasi dell’inizio dei loro cognomi), i quali nicchiano sul costo delle riprese. È allora che interviene il giovane Bonivento, con un colpo di genio risolutivo.

I due navigati super-produttori lamentano una certa lunghezza del copione, sostenendo che se ne dovrebbero espungere una quarantina di pagine; il futuro produttore di Mery per sempre e Ultrà (guarda caso altri due film diretti da due nuove leve\figli d’arte come Marco Risi e Ricky Tognazzi), insomma sempre Bonivento, allora che fa? Impugna la sceneggiatura, che a quanto pare era nata proprio da una sua idea, e con un colpo di teatro, tra realtà e leggenda, ne strappa via letteralmente quaranta pagine!

Tutto risolto? Macché. C’è un ultimo scoglio da superare. Trattandosi di un film a basso costo, con ogni probabilità la produzione non sarebbe mai riuscita a coprire il costo del cachet di Jerry Calà, che allora era la vera star del progetto, quantunque questi fosse entusiasta della possibilità di interpretarlo. Talmente entusiasta che accetta di girarlo per un compenso inferiore, ponendo però nel contratto una clausola che gli garantiva una grossa parte delle percentuali, dopo il raggiungimento degli 8 miliardi di lire al botteghino.

La storia racconta che, nonostante lo scetticismo dei produttori, il traguardo non solo fu raggiunto ma venne ampiamente superato, totalizzando, alla fine del suo sfruttamento nelle sale, l’insperata somma di 10 miliardi di lire!

Bene – si dicono i fratelli Vanzina, e il loro ardimentoso sodale Bonivento – adesso si potrà partire? Neanche per idea. Per quanto possa apparire oggi incredibile la distribuzione aveva dei forti dubbi sul coprotagonista, Christian De Sica, ovvero l’attore che sbancherà i botteghini dei successivi decenni, e che però allora non aveva ancora trovato una propria cifra credibile.

La seconda perplessità è legata a Virna Lisi, ritenuta non adatta a un film di questo tipo poiché ritenuta un’attrice prevalentemente drammatica. Ebbene per questa interpretazione la Lisi (ahi, i distributori!) vincerà contemporaneamente il David di Donatello e il Nastro d'argento, come migliore attrice non protagonista del 1983!

Ora non rimane che un ostacolo da aggirare. Il film avrebbe dovuto intitolarsi Sapore di sale, proprio come l’immortale hit di Gino Paoli, e tuttavia c’era un'altra casa cinematografica che aveva messo in cantiere un film con quel titolo, da far dirigere a Neri Parenti. Ma a quel punto indietro non si torna: un piccolo ritocco e l’avventura - destinata a cambiare le sorti di quasi tutti quanti vi parteciparono - può finalmente partire!

GLI EREDI DELLA COMMEDIA ALL’ITALIANA: OMAGGI, PRESTITI E CITAZIONI

Figli di tanto padre - e dei molti padri artistici alla cui mammella si sono allattati, sin dalla più tenera età: frequentando i set di Steno erano soliti frequentare Totò, Alberto Sordi e gli altri grandi comici del passato - i fratelli Vanzina, pur se lo volessero, non possono proprio non riandare colla memoria del cuore al glorioso passato del cinema brillante dei ’60-’70. E in fondo così continueranno a fare per tutta la loro carriera.

Solo per citare i casi più vistosi, si nota che Vacanze di natale (1983) era ispirato a una commedia di Camillo Mastrocinque con Vittorio De Sica e Alberto Sordi, intitolata Vacanze d’inverno (1959). I mitici – colpo gobbo a Milano (1994), è un chiaro tentativo di replicare il modello de I soliti ignoti (1958) e del suo sequel Audace colpo dei soliti ignoti (1959). Persino in A spasso nel tempo (1996), miscellanea di citazioni e omaggi di ogni sorta, si riconosce l’esempio di Amici miei (1975), ancora di Monicelli. Così come Il pranzo della domenica (2003) echeggia La famiglia (1987) di Ettore Scola.

E così sarà fino alla fine di una carriera felice e prolifica che conta ben 60 film in 40 anni. Nel penultimo, Non si ruba in casa dei ladri, c’è una citazione plateale de In nome del popolo italiano (1971) di Dino Risi; e nell’ultimo, Caccia al tesoro (2017) un esplicito riferimento a Operazione San Gennaro (1966), ancora diretto da Risi e interpretato da un anziano Totò.

Sapore di mare non fa eccezione. Dovendo girare una “commedia balneare” ambientata nei “favolosi anni ‘60”, i Vanzina non hanno che l’imbarazzo della scelta, considerato che si tratta di uno dei filoni più riconoscibili della commedia all’italiana degli anni d’oro, che loro omaggiano consapevolmente, a partire dal film-capostipite Domenica d’agosto (1950), diretto da Luciano Emmer ma scritto dai padri del neorealismo Sergio Amidei e Cesare Zavattini. Anche se i due dichiarano di essersi piuttosto ispirati a un film minore di Dino Risi: L’ombrellone (1965), totalmente ambientato sulle spiagge-formicaio dell’Italia del boom.

Un tributo di affetto e riconoscenza nei confronti del “cinema dei padri” che non si limita alle citazioni contenute nella pellicola, ma finisce per tracimare anche nella scelta location: anche se qualche ripresa viene fatta sulle più vicine spiagge di Ostia e Fregene, il film viene girato prevalentemente in Versilia, anzi proprio a Forte dei Marmi dove è dichiaratamente ambientato; che, come è noto, è una delle tappe, quella balneare, del road-movie de Il sorpasso (1962) ancora di Risi. In tema di omaggi non può mancare una firma di famiglia: Il film che viene proiettato nell'arena all'aperto di Sapore di mare è infatti I due colonnelli, diretto nel 1962 da Steno e interpretato ancora da Totò.

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UN ESTATE AL MARE (DEGLI ANNI SESSANTA)

Ricalcando la variante “a episodi intrecciati” del filone balenare della commedia all’italiana (che come abbiamo visto è stato inaugurato da un film ancora in odor di neorealismo come Domenica d’agosto, e che sarà replicato nel tempo in una miriade di pellicole più o meno nobili), i Vanzina raccontano un’estate al mare della metà degli anni ’60. A testimoniarlo anche alcune coordinate cronologiche inserite nel film più o meno incidentalmente, a partire PERò da una bizzarra e inspiegabile incongruenza temporale: diversi indizi, come ad esempio il festone di un party, ci dicono che ci troviamo nel 1964, eppure ad un certo momento, quasi per caso veniamo a sapere da una radiolina appoggiata su un asciugamano che Felice Gimondi ha vinto il Tour de France, circostanza che, in verità, si verificherà solo 12 mesi dopo, nel luglio del 1965!

Il film comunque, refusi a parte, è pieno zeppo di riferimenti fenomenici della cronaca di quegli anni: da un annunciato concerto di Mina alla mitica Capannina alle trasmissioni televisive del professor Cutolo. Dai primi televisori a 21 pollici, al kolossal Lawrence d’Arabia uscito proprio in quegli anni; dai primi topless comparsi sulle spiagge italiane (e puntualmente repressi da tutori dell’ordine più che zelanti) alla novità rivoluzionaria della pillola anticoncezionale (infatti la menziona il personaggio di una inglesina in trasferta).

Per il resto, il copione narra le vicende goldoniane di una famiglia di napoletani un po’ cafoni (si portano in spiaggia ogni sorta di ben di dio da mangiare) alla loro prima villeggiatura versiliana; contrapposti ai loro omologhi milanesi, anche loro in odor di stereotipo: il papà è un “cumenda” e i due figli sono dei simpatici scavezzacollo costantemente pronti a dissipare i denari paterni.

Con in più una serie di fondamentali personaggi di contorno, tutti molto ben scritti a dire il vero, anche quando rasentano il cosiddetto bozzettismo. E qui val la pena di menzionare un paio di sapide curiosità. I marchesini Pucci sono interpretati da due giovani promesse che diverranno diversamente famosi: uno è Angelo Maggi che di lì a non molto diviene uno dei più importanti doppiatori italiani, prestando la voce a Tom Hanks e Bruce Willis. L’altro è Paolo Baroni, lo storico “maggiordomo” di Bruno Vespa sin dalla prima puntata del suo talk-show Porta a porta. E ancora: in un cast in cui spiccano Marina Suma e una giovanissima Isabella Ferrari, praticamente al suo debutto; in una comparsata non parlante troviamo anche un’irriconoscibile Alba Parietti, che all’epoca era la moglie di Franco Oppini, dei summenzionati Gatti di Vicolo Miracoli

Gli intrecci più o meno sentimentali di questi adolescenti di sessant’anni fa avvengono in un contesto gioioso, fatto di giochi in riva al mare e falò sulla spiaggia; feste danzanti e corse in vespa; picnic e arene; amori estivi e cocenti delusioni.

Ma tutti questi ingredienti non avrebbero prodotto un piatto così prelibato, da essere apprezzato da più di una generazione, comprese quelle odierne, se Carlo ed Enrico non ne avessero aggiunto un altro, indispensabile: la nostalgia. Quel rimpianto dolceamaro per tempi mai vissuti, che è dopotutto il rimpianto di un tempo dell’anima, e che proprio per questo riesce ancora a parlare a tutti.

Quell’ingrediente che ha spinto qualcuno, come il celebre critico Morando Morandini, a scrivere così: «La commedia all'italiana ha un erede in famiglia. È Carlo Vanzina, figlio di Steno, che al suo nono film fa centro con questo "Italian graffiti", astuto ma sincero e che s'allontana dal cabaret cinematografico ahimè in voga.»

CANNES, FRANCE - MAY 21: Actress Isabella Ferrari attends the 'La Grande Bellezza' Photocall during The 66th Annual Cannes Film Festival at the Palais des Festivals on May 21, 2013 in Cannes, France.  (Photo by Pascal Le Segretain/Getty Images)

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CELESTE NOSTALGIA. UNO SCORE NARRATIVO

Questo fondamentale effetto nostalgia, a ben vedere, lo si deve a un espediente drammaturgico che i fratelli Vanzina ereditano, ancora una volta, dalla commedia all’italiana degli anni ’60, e in particolar modo da Il sorpasso, in cui la musica (per lo più da spiaggia) veniva usata come collante narrativo, oppure come accento da mettere sopra una scena da enfatizzare.

E qui bisogna dire che gli allievi superano il maestro. Mai si era infatti visto, o meglio sentito, un uso così puntuale di brani musicali che si intersecano ai dialoghi, commentandoli, o definendone meglio il senso profondo.

Ciò accade grazie a uno score portentoso, contenente tutti i maggiori successi commerciali dell’Italia del boom, un decennio di edonismo sfrenato che assomiglia non poco a quello che, mutatis mutandis, si respira negli anni in cui è stato girato il film. Da Il cielo in una stanza di Mina a Una rotonda sul mare di Fred Bongusto, da Come te non c'è nessuno di Rita Pavone a Non son degno di te di Gianni Morandi, fino a Celeste nostalgia di Riccardo Cocciante, che chiude giustamente il film, nel flash-forward finale.

Per tacere dei tanti brani di Edoardo Vianello (a partire da Abbronzatissima), il quale compare in carne e ossa nel film in un ironico cammeo.

Ventuno evergreen del genere “canzonetta pop”, quelle che da sempre riescono, meglio di ogni altro brano d’autore, a connotare un’epoca. Soprattutto durante la stagione del solleone. 

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Il successo del film è tale che nel giro di pochi mesi esce il sequel, Sapore di mare 2 - Un anno dopo, diretto dall’aiuto regista dell’originale, Bruno Cortini, e in cui i Vanzina figurano solo come autori del soggetto. Un film nel quale si può finalmente usare il brano omonimo di Gino Paoli e in cui si afferma la fama, cinematograficamente effimera, di Massimo Ciavarro; senza né De Sica né Calà, ma con dei pezzi di pellicola avanzati dal film precedente.

Che cosa era accaduto? Dopo i traccheggiamenti dei produttori della Dean film, i Vanzina ne avevano approfittato per passare alla Filmauro di Aurelio De Laurentiis, il quale commissiona loro un'opera in tutto e per tutto simile a Sapore di mare, stavolta però ambientata in una località sciistica: è Vacanze di natale, il film che darà la stura al filone dei cine-panettoni.

A quel punto Angeletti e De Micheli affidano a Cortini un sequel da metter su in quattro e quattr’otto e far uscire nelle sale nell’autunno di quello stesso 1983, ovvero circa sette mesi dopo Sapore di mare, che era stato girato nell’agosto del 1982 ed uscito in sala nel febbraio dell’anno dopo: probabilmente un record assoluto di rapidità (e di cinismo).

Trent’anni dopo Sapore di mare Carlo Vanzina girerà Sapore di te, ambientato sempre a Forte dei Marmi, però nella prima metà degli anni ottanta. Ma questa è un’altra storia.

Secondo i detrattori del cinema di Vanzina (detrattori che a questo genere di cinema non sono mai mancati, del resto), Sapore di mare avrebbe inaugurato il filone vacanziero, quello che in senso vagamente dispregiativo essi definiscono il cinema dei “vacanzina”.

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