L'insulto di Ziad Doueiri: la recensione del film

Cinema

M.Beatrice Moia

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Il cinema che non conosci si propone di aiutare a far scoprire quei film “minori” che, per budget o per scelte tematiche, rimangono un po’ nell’ombra mentre meriterebbero di avere spinte promozionali più significative e impulso distributivo più ampio e convinto. Come L'insulto di Ziad Doueiri , in questi giorni al Cinemino di Milano, distribuito da Lucky Red. A seguire la recensione del film.

È un film ma sembra un telegiornale. È un film, ma molto più di tanti notiziari, mostra a quale livello possa salire la tensione nelle vie di Beirut tra palestinesi e libanesi. Yasser è capo cantiere palestinese, Tony un meccanico, convinto sostenitore del partito cristiano. Il tubo che si permette di riparare senza il permesso di Yasser è la miccia che accende il conflitto. E poi quell’insulto, “cane”, tanto bruciante da diventare il titolo del film, la questione intorno alla quale ruota tutta la vicenda. Un solo, semplice insulto - ma più esplosivo della dinamite in quel contesto -  scatena un conflitto che dal tubo del balcone di Yasser arriva in tribunale e poi alle orecchie e alla sensibilità di tutto il Paese, fino a quelle del presidente. Un insulto che non riguarda più solo una questione privata di due uomini ma che va a rappresentare l’orgoglio ferito di due popoli in conflitto ormai da troppo tempo. Il Libano, com'è noto, è martoriato da oltre venti anni da una guerra civile tra cristiani e musulmani, tra rifugiati palestinesi e forze filo israeliane/occidentali. Una miccia accesa che sembra non esaurirsi mai e a cui un insulto tra due uomini può diventare simbolo della conflittualità inesauribile tra due popoli, tra due opposte visioni del mondo.

Ma nel film del regista Ziad Doueiri sembra filtrare una luce di speranza, una possibile catarsi forse rappresentata dalle donne. C'è un genio femminile della tolleranza e della comprensione che può riuscire a superare schieramenti politici e barriere religiose. Una voglia di pace che sembra guardare all’unica vera possibile soluzione: la capacità di chiedersi reciprocamente perdono. Di confrontarsi come persone appartenenti alla comune umanità, lasciando da parte sovrastrutture più storiche e culturali che fondate sull'odio personale di donne e di uomini. La capacità tutta femminile di incontrarsi e di dialogare può essere davvero la chiave di una svolta? Il dialogo, protagonista assoluto di ogni attrito che riesce a sciogliersi, sembra essere l’ingrediente decisivo. Un approdo prima evitato poi suggerito e poi, forse, cercato. Ma con molte riserve. Perché il passato è troppo ingombrante per essere cancellato con un colpo di spugna, la stratificazione delle incomprensioni e dei sospetti sembra resistere al desiderio, pur palpabile, di tornare a stringersi la mano. Eppure, anche soltanto attraverso le sequenze di un film, si tratta di un tentativo che va fatto. La storia del Mediorente attende da troppo tempo la forza debole di un sorriso capace di riaccendere le speranze.

 

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