Il cinema che non conosci si propone di aiutare a far scoprire quei film “minori” che, per budget o per scelte tematiche, rimangono un po’ nell’ombra mentre meriterebbero di avere spinte promozionali più significative e impulso distributivo più ampio e convinto. Come Charley Thompson, Lean on Pete di Andrew Haigh in questi giorni al Cinemino di Milano e in altre sale d'Italia. A seguire la recensione del film.
“Non sbattere le palpebre, dura pochi secondi, potresti perderti la corsa”. È il consiglio che Del Montgomery dà a Charley alla sua prima corsa di cavalli. È anche il senso di tutto il film. Non sbattere le palpebre, trattieni il respiro, corri, corri sempre dritto davanti a te, senza voltarti. Senza soffrire. Dall’inizio alla fine. È un film dove si riesce a respirare poco. Non c’è tempo per farlo. È un film dove si parla poco. Charley non ha tempo da perdere in chiacchiere. Ha solo quindici anni ma lavora duro, al galoppatoio di Portland, in Oregon, dove si è appena trasferito col padre. La madre l’ha abbandonato alla nascita. Lavora come aiutante tuttofare per Del, non più giovane e lontano dai tempi in cui guadagnava bene facendo correre i suoi venti cavalli, ora rimasti in sei. Uno di questi è Lean on Pete, a cui Charley si affeziona molto. Ma Pete è stanco, le zampe si indeboliscono e inizia a perdere. Arriva ultimo. Diventa un cavallo inutile. Del lo vuole vendere ai messicani per farlo sopprimere. Charley prende Pete e scappa. Vai Charley, scappa, corri via. Non girarti che alle tue spalle non c’è più nulla per te, non più nessuno che ti aspetta, nemmeno tuo padre…. Un immenso deserto si apre davanti a te, Charley e al di là, forse, la speranza di un futuro migliore. Scappa! Non perdere tempo!
Un ragazzo con il suo cavallo. Attraverso il deserto come un pioniere alla ricerca della fortuna. Attraverso l’America selvaggia, brulla, insidiosa, quella che è rimasta così come è sempre stata, quella dove tutto è ancora possibile, dove, tra una highway e l’altra c'è ancora molto da costruire. Come nella vita di Charley. Quella vita che lo aspetta al di là del deserto. E lui, a testa bassa, vuole raggiungerla. Non si è ancora fermato a respirare. Senza soldi, senza amici, dormendo all’aperto, con la solo compagnia di Pete, anche lui fuggitivo. Non importa come. Basta andare avanti e ancora avanti fino a Laramie, nel Wyoming, da zia Margy che non vede da anni. La famiglia che gli è rimasta. Milleseicento chilometri senza respirare. È nell’abbraccio della zia che ricomincia a vivere. E piange, piange per la prima volta. Ora può permetterselo. Lacrime di dolore, lacrime di sollievo. E poi Charlie ricomincia a correre. È la scena finale del film. Ma non sta più scappando, sta semplicemente volando. Leggero, verso nuovi orizzonti.