Giffoni 2016, per Claudio Santamaria: "L'Italia è piena di talento"

Cinema
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Claudio Santamaria incanta i ragazzi del Giffoni Film Festival raccontando la magia di Lo chiamavano Jeeg Robot. Ma anche delle difficoltà di fare il doppiatore e della passione per la musica. Lo abbiamo intervistato

di Fabrizio Basso
(inviato a Giffoni Valle Piana)


E' arrivato con la potenza di Jeeg. Perché ultimamente lo chiamavano Jeeg Robot. Claudio Santamaria ha incontrato i ragazzi del Giffoni Film Festival. Uno degli incontri più proficui, allegri e formativi di Giffoni 2016. Lo abbiamo intervistato.

Santamaria ha una serie preferita?

Ne ho più di una. La Famiglia Bradford e una. Poi ci sono Love Boat, Star Trek, SciFi, Ai confini della realtà e molte altre serie in bianco e nero degli anni Settanta.
Lo chiamavano Jeeg Robot cosa ha aggiunto alla sua carriera?
Popolaità ma non solo. Mi ha consentito di esplorare un personaggio che non mi appartiene, la crescita professionale è tata tanta.
Sarà protagonista di Brutti e cattivi.
Se penso all'originale di Ettore Scola mi domando quanto cinismo c'era in quegli anni. La rivincita di emarginati e reietti. Verso certi personaggi ci si approccia senza pietà. Resta un film culto.
Lei si muove tra cinema e televisione: c'è un segreto?
La televisione produce serie di qualità, il segrete è scegliere le cose che vuoi a fare e che, da spettatore, vorresti vedere. In televisione l'immagine è un pochino sacrificata a causa dei dialoghi, quindi è strategico essere convinti della sceneggiatura.
Lei ha anche una forte passione musicale: prevede una carriera parallela?
Ho fatto qualche data con quattro jazzisti rivisitando il repertorio dei cantautori italiani. Ma non componiamo.
Ci parli di Lo chiamavano Jeeg robot.
Sono rimasto folgorato dopo avere letto la sceneggiatura. Ho subito capito che avrebbe toccato quella parte infantile che abbiamo tutti. Prende un pubblico trasversale per età e per ceto. Le dico che io lo ho visto nove volte.
Resterà nella storia?
E' un film spartiacque nel cinema. Il fenomeno si è generato con il passaparola.
Per Gabriele Mainetti, regista del film, è stato un trionfo.
Ci ha messo anni per convincere della bontà di un film del genere. L'Italia è un terreno difficile per queste operazioni.
La sua esperienza di doppiatore?
Già a 16 anni ho frequentato una scuola di doppiaggio. E' più impegnativo della recitazione perché devi trovare il giusto tempo solo con la voce.
Come è fare il cattivo al cinema?
E' il ruolo più ambito perché consente di sperimentare ciò che nella vita non puoi fare.
Il film Diaz ancora oggi scatena polemiche.
Un film interessante, di potente emotività per tutto il cast. Sono, siamo orgogliosi di avere raccontato un periodo così buoi della nostra storia.
In giro c'è talento?
Si può trovare ovunque, ma in Italia ce ne è tantissimo


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