Django Unchained, la parola a Quentin Tarantino

Cinema

Francesco Castelnuovo ha incontrato il regista americano alla vigilia dell'uscita del suo ultimo film (nelle sale dal 17 gennaio) e di cui Sky Cinema trasmetterà i primi 5 minuti in anteprima mercoledì 16 gennaio. GUARDA IL VIDEO

Anche una breve chiaccherata con Quentin Tarantino può darci l'idea di quanto cinema stratificato ci sia nella testa e nelle mani di questo regista straordinario. Basta farlo parlare e domandargli come sia nato "Django Unchained"(dal 17 gennaio al cinema) per inoltrarsi nei meandri profondi della sua memoria filmica, fatta anche e non solo di spaghetti western e pellicole giapponesi sui samurai.

Perché Django Unchained è in fondo una contaminazione di elementi, una citazione al rimando dei mitici Sergio Corbucci e Sergio Leone, dei tanti Django, Ringo o Sartana che hanno popolato i cinema del passato e che grazie a Tarantino ritornano più vivi che mai. Naturalmente Quentin ci mette tanto di suo. Proponendo un Django nero, per esempio, riporta l'attenzione sul problema della schiavitù nel suo Paese che secondo il regista americano non è mai stato affrontato veramente, almeno dal cinema made in Usa.

Tuttavia, catalogare Tarantino è cosa alquanto difficile e forse in un certo qual modo sbagliato. Django Unchained è un western ma non solo, è un film sul razzismo ma questo non è sufficiente per caratterizzarlo completamente in questo genere. E' un film violento sicuramente, dove schizzi di sangue e esplosioni di corpi tuttavia non colpiscono per la loro efferatezza ma per la loro assurda esagerazione che rende inverosimile la loro ferocia.

E poi come non citare la scelta degli attori, tutti bravissimi e straordinari. Uno su tutti: Leonardo DiCaprio, talmente odioso, perfido, schifosamente razzista ma così terribilmente credibile da farci capire fino in fondo cosa ha significato la schiavitù per milioni di neri che l'hanno subito sulla loro pelle piagata dalla frusta e dalla ferocia senza fine.

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