L'attore, al cinema con "The master" ha raccontato in una intervista all'edizione italiana di Rolling Stones, numero di gennaio, di ascoltare tanta musica ma soprattutto di apprezzare il giovane Justin. Ecco alcune anticipazioni dell'articolo
Arriva al cinema "The Master" di Paul Thomas Anderson, il film su Scientology che ha per protagonmista Joaquin Phoenix: in una delle sue rarissime interviste rivela all’edizione italiana di Rolling Stone, nel numero di gennaio, come è stato interpretare Freddie, un concentrato di aggressività, frustrazione sessuale, alcolismo, insicurezza, paranoia: "Un personaggio con infinite possibilità da esplorare. Non sapevo dove mi avrebbe portato. Mi sono detto che lo avrei scoperto strada facendo, cercandolo. Con altri personaggi ti capita di sapere in ogni momento cosa pensano e provano, qui no. Freddie è solo impulso, come un animale. Interpretarlo è stato eccitante, ma anche spaventoso e pericoloso. E, ovviamente, mi ha spinto la possibilità di lavorare con Paul (Thomas Anderson, ndr) e Phil (Philip Seymour Hoffman, ndr). Ci sono tanti registi dotati di una visione ma Paul ha un’immaginazione senza limiti e ti fa lavorare duro perché ha tantissime idee. Insomma, morivo dalla voglia di fare questo film".
Quello che colpisce della sua prova in " The Master" è l’intensità, l’assoluta accettazione del rischio, l’abbandono al progetto registico. Quanto può essere complicato entrare in contatto con un carattere così destrutturato lo spiega Phoenix: "È qualcosa di strano da definire. Cerco sempre di non lasciare spazio a questi ragionamenti, perché prima ti godi il film per quello che è e poi impari dal processo. Certe volte ti ritrovi a interpretare scene che allo spettatore sembreranno intense mentre sul set invece ti stai divertendo. Non mi preoccupa parlare del metodo, solo credo che cambi ogni volta. Certe scene ti sembrano facili e gioiose da fare, mentre magari sono state durissime, anche solo per l’aria che si respira sul set. Certe altre sono difficili al momento, ma solo in quello, perché tra una scena e l’altra sul set tu stai bene".
Curiosa anche la scleta della soundtrack: "Paul mi ha dato un sacco di canzoni da ascoltare. E ci sono entrato dentro completamente. Cose tipo Judy Garland... Tutte parlavano di persone danneggiate, con problemi psicologici e fisici. Tremende, ma struggenti. La cosa più bella è che in quel periodo non si usavano perifrasi, non si era inutilmente poetici: nei testi tutto si riduceva a ti amo, mi manchi. Tutto questo per me è meraviglioso, perché trovo che nella musica oggi ci sia molta pseudo poesia, inutili metafore". La sorpresa arriva sul suo artista preferito. «Mi piace Justin Bieber». Musica nuova da segnalare? "Non sono così hip". E ripete il nome di Justin Bieber: "Sì, lo rispetto e lo ammiro sinceramente. Mi piace la musica pop, e credo ci sia posto per tutti. Lui ha talento ed è carino. Però mi piace ascoltare un po’ di tutto, anche se non ho molti dischi. Ultimamente ero su un set in Cina, pensa che lì hanno ancora i video musicali in rotazione su Mtv...".
Quello che colpisce della sua prova in " The Master" è l’intensità, l’assoluta accettazione del rischio, l’abbandono al progetto registico. Quanto può essere complicato entrare in contatto con un carattere così destrutturato lo spiega Phoenix: "È qualcosa di strano da definire. Cerco sempre di non lasciare spazio a questi ragionamenti, perché prima ti godi il film per quello che è e poi impari dal processo. Certe volte ti ritrovi a interpretare scene che allo spettatore sembreranno intense mentre sul set invece ti stai divertendo. Non mi preoccupa parlare del metodo, solo credo che cambi ogni volta. Certe scene ti sembrano facili e gioiose da fare, mentre magari sono state durissime, anche solo per l’aria che si respira sul set. Certe altre sono difficili al momento, ma solo in quello, perché tra una scena e l’altra sul set tu stai bene".
Curiosa anche la scleta della soundtrack: "Paul mi ha dato un sacco di canzoni da ascoltare. E ci sono entrato dentro completamente. Cose tipo Judy Garland... Tutte parlavano di persone danneggiate, con problemi psicologici e fisici. Tremende, ma struggenti. La cosa più bella è che in quel periodo non si usavano perifrasi, non si era inutilmente poetici: nei testi tutto si riduceva a ti amo, mi manchi. Tutto questo per me è meraviglioso, perché trovo che nella musica oggi ci sia molta pseudo poesia, inutili metafore". La sorpresa arriva sul suo artista preferito. «Mi piace Justin Bieber». Musica nuova da segnalare? "Non sono così hip". E ripete il nome di Justin Bieber: "Sì, lo rispetto e lo ammiro sinceramente. Mi piace la musica pop, e credo ci sia posto per tutti. Lui ha talento ed è carino. Però mi piace ascoltare un po’ di tutto, anche se non ho molti dischi. Ultimamente ero su un set in Cina, pensa che lì hanno ancora i video musicali in rotazione su Mtv...".