Scala, l’energia esplosiva di Forsythe. I protagonisti: “Lavorare con lui un grande dono”

È il coreografo che ha saputo decostruire la danza accademica e spingerla oltre i suoi confini, creando un linguaggio post-classico. Che ha trasformato il movimento in architettura viva. Al Teatro alla Scala torna in scena, fino al 29 novembre, The Blake Works creato da William Forsythe su musica elettronica di James Blake. Un trittico che comprende, in apertura, un lavoro nato appositamente per il Corpo di Ballo scaligero: Prologue, un’ouverture sulla canzone Lindisfarne I. Seguono The Barre Project, balletto creato in piena pandemia come omaggio alle schiere di ballerini che hanno cercato di mantenere le loro capacità professionali facendo esercizi a casa, come aveva raccontato a Sky Tg24 lo stesso Forsythe, e Blake Works I nato per l’Opéra di Parigi nel 2016. Una serata esplosiva per l’energia che riesce a creare sul palco e nel pubblico. E una vera goduria per gli occhi dei “ballettomani” per lo stile tanto innovativo ma anche tanto difficile eseguito alla perfezione dal Corpo di Ballo scaligero. Ne abbiamo parlato con tre dei protagonisti: la prima ballerina Alice Mariani, il primo ballerino Marco Agostino e la giovanissima Martina Valentini. Nel 2023, quando avete presentato per la prima volta questa serata, avete lavorato direttamente con William Forsythe partecipando anche al suo processo creativo. Com’è stato? ALICE MARIANI: “Lavorare con Forsythe è sempre un dono ed è stato molto stimolante per tutti noi. È un genio della coreografia. Questa serata è pura vitalità, è un gioco continuo, è nata da un dialogo tra il ballerino e il coreografo e questo è ciò che più stimola la nostra creatività come artisti”. Un gioco particolarmente difficile… ALICE MARIANI: “Il suo stile ha una dinamica e una musicalità molto difficili. Ma la cosa incredibile per noi è avere la libertà di potersi muovere all’interno della struttura musicale. Perché abbiamo la libertà di giocare con il ritmo e con gli accenti come vogliamo nel rispetto della struttura musicale e coreografica che Forsythe ci ha indicato. Non è semplice ma nel momento in cui ci si riesce è davvero un’apoteosi”. C’è qualche consiglio particolare che ricordi? MARCO AGOSTINO: “Ce ne sono davvero tanti… sicuramente Forsythe ci ha insegnato a usare le mani come se fossero piedi. A dare alle nostre mani una forma non accademica ma estremizzata e dettagliata come quella che diamo ai nostri piedi. La danza classica è il linguaggio dei piedi e di solito le mani chiudono la corona della posizione. In Forsythe le mani sono forse persino più importanti perché trasmettono l'accento, la forza della schiena, la linea da sopra a sotto. Quindi una cosa che ricordo tantissimo è che ci diceva di pensare alle nostre mani con la stessa cura, la stessa velocità e la stessa potenza con cui usiamo i piedi”. Questa importanza che dà alle mani è anche subito esplicita all’inizio di The Barre Project, quando sullo schermo si vedono le mani che “danzano” sulla sbarra… MARCO AGOSTINO: “Sì assolutamente. Un’altra cosa che ci chiedeva sempre era di pensare all’en dehors anche della schiena, non solo a quello delle anche. Il suo modo di usare la schiena, di aprire la posizione, rende tutto più veloce e crea quello stop che per lui è fondamentale, Ed è quello stop che crea il colore del suo movimento. Tutti questi insegnamenti li porterò sempre con me”. E da un punto di vista musicali quali indicazioni avete ricevuto? MARCO AGOSTINO: “Lui vuole che i danzatori non ascoltino solo la melodia sopra ma cerchino gli strumenti sotto. Le basi musicali hanno diverse strutture, hanno linee di basso, di batteria, di musica elettronica e per ogni movimento lui ci chiedeva di sottolineare quegli accenti musicali che non si sentono subito, al primo ascolto”. Cosa affascina di più voi danzatori dello stile di Forsythe? ALICE MARIANI: “Si crea un'energia incredibile tra noi, lui riesce davvero a creare un gruppo. Di solito quando dobbiamo fare degli assoli, o dei passi a due, prima di entrare siamo molto concentrati su quello che dobbiamo fare. In questo caso si crea invece una sorta di squadra in cui tutti conosciamo i pezzi degli altri, gli ingressi, li ripetiamo e danziamo dietro le quinte, sappiamo in quale nota entra quello strumento. È come se fossimo sempre tutti coinvolti, sul palco e dietro le quinte. E cerchiamo di trasmettere agli spettatori tutta questa energia che si crea, che è la stessa che abbiamo ricevuto direttamente da lui”. E cosa vi affascina di Prologue, creato appositamente per voi? MARTINA VALENTINI: “Mi piace il silenzio che c'è perché, al contrario degli altri pezzi, la musica non è presente ma viene creata una sorta di ritmo tra di noi. Ho una buona connessione con il mio partner che è Navrin Turnbul e questo aiuta tanto. Il ritmo, durante il silenzio, viene creato dal rumore delle punte che magari colpiscono il palcoscenico. Dai nostri respiri, dagli sguardi. È un bel gioco che creiamo tra di noi”. Blake Work 1 è invece un lavoro molto corale. Ci sono anche movimenti che vengono ripetuti in maniera quasi ciclica… MARTINA VALENTINI: “Se guardi l'insieme, facciamo tutti una cosa diversa ma è come se fossimo tutti sulla stessa linea d'onda. È una cosa bellissima. E si sente tanto l'energia che c'è tra di noi e ci sono tanti giochi di sguardi. È bellissimo poter ballare in questo modo sul palco. Certo è uno stile molto difficile e richiede tanta concentrazione, tanto estremismo, devi davvero strizzare i movimenti al massimo. E anche quando pensi di essere arrivato in realtà puoi dare ancora di più”.

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Scala, l’energia esplosiva di Forsythe. I protagonisti: “Lavorare con lui un grande dono”

Chiara Ribichini