Andrea Sarri: “Io primo ballerino dell’Opéra ho iniziato con l’hip hop"

Nominato a gennaio Premier danseur, primo ballerino, dell'Opéra di Parigi, su proposta del direttore della danza, José Martinez, e del direttore generale, Alexander Neef, Andrea Sarri, 26 anni, è uno dei talenti più luminosi della danza italiana nel mondo e il secondo palermitano, dopo Eleonora Abbagnato, a ottenere questo importante riconoscimento. Sono passati diversi mesi dall’annuncio, ma quando ne parla gli occhi brillano come se avesse ricevuto poco fa la notizia. Il nuovo ruolo ha già dato al ballerino palermitano importanti opportunità internazionali: è arrivato fino a Tokyo con una Giselle che ha ricevuto un’accoglienza calorosissima. Per Sarri l’arte, come la vita, è una questione di confini da superare. Ha iniziato attraversando le frontiere fisiche, trasferendosi in Francia quando era solo un bambino per inseguire il suo sogno, ma il suo percorso è un inno alla danza come arte nella sua complessità. “Ho mosso i primi passi ballando hip hop, sono arrivato al classico in un secondo momento”. E nello stile, fuori dalla scena, tradisce uno stile underground con cui esprime le sue mille contaminazioni. Lo incontriamo poco prima di un’importante esibizione in Sicilia: in occasione del Festival Internazionale del Libro di Taormina, il Taobuk, è stato premiato sullo sfondo dello splendido Teatro Antico, dove ha portato una sua coreografia sul preludio della Carmen di Bizet. “Un’emozione unica ricevere questo premio nella mia terra, anche se non avrò tempo di fermarmi”. Qual è il posto che chiami casa? Parigi è un posto magico dove ho scoperto cos'è il lavoro. Ho imparato il significato della parola "danza" e come perfezionare la mia arte. Palermo però resta nel mio cuore e continua a mancarmi: la famiglia, gli amici, il cibo, anche se in Francia ho trovato una seconda casa. Sono arrivato quando non avevo ancora 10 anni: tanto studio, poi l’ingresso nella compagnia dell’Opéra e ora la nomina a premier danseur. E sogno, un giorno, di diventare étoile dell’Opéra. Come hai iniziato a ballare? Ho iniziato perché volevo esprimermi attraverso la danza, a prescindere dai generi e dagli stili. Perché la danza è un mondo complesso. Il mio primo approccio a questo mondo è stato la break dance e l'hip hop, quindi niente a che vedere con quello che faccio oggi e con la mia formazione che poi ho seguito. Però secondo me è molto interessante aver mosso i primi passi in questo modo, perché mi ha permesso di avere un movimento un po' più libero anche nel classico. E se potessi tornare indietro non cambierei niente. Riesci a coltivare ancora le tue antiche passioni? Devo dire che mi manca il tempo, perché i ritmi dell’Opéra sono serratissimi, ma mi è tornata la voglia di fare un po' hip hop e tornare alle origini. Ma fortunatamente nel nostro repertorio dell'Opéra di Parigi balliamo anche pezzi contemporanei, moderni. Spaziamo molto, quindi non mi fanno mancare niente e mi riempiono di stimoli. Sei un Gen Z, qual è l’x factor della tua generazione di danzatori? Non penso che sia una questione di generazione, ma più una questione di personalità. Io cerco di portare sui palco tanta energia, tanta voglia di scoprire cose nuove. Come affronti i ruoli del repertorio della tradizione? Penso che tutti i personaggi di tutti i balletti abbiano un richiamo contemporaneo e moderno. Quello che rende il personaggio moderno è la nostra interpretazione. La Carmen che ho portato a Taormina è in dialogo con il 2025 e non bisogna soffermarsi solo sui passi, perché nella coreografia abbiamo possibilità e margini per reinventare tutto. Cosa sono per te i confini? I confini fanno parte della mia vita, nel senso che ne ho dovuti valicare tanti. Sono andato via di casa quando ero piccolo: un altro Paese, un’altra città, un’altra lingua. Sono passato da un genere all’altro. Nella danza, nell'arte, confini non ce ne sono, ce li poniamo noi, ma nel DNA dell’artista c’è la curiosità che ci porta ad abbattere limiti e barriere.

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