Pietro e Paolo a Roma, Michele La Ginestra: "Uomini agli antipodi, uniti dalla fede"

“I due apostoli centrali nella storia della Chiesa cattolica, Pietro e Paolo, erano due grandi peccatori”. Michele La Ginestra, autore e interprete dello spettacolo Pietro e Paolo a Roma, che andrà in scena al Teatro Sistina, nella capitale, dal 27 al 29 giugno con il patrocinio della Fabbrica di San Pietro in Vaticano e della Diocesi di Roma, ha immaginato un incontro per le strade della città tra i due pilastri della cristianità che, “prima ancora di essere Santi, erano uomini agli antipodi”. Pietro, infatti, “era un uomo semplice, un pescatore scelto da Gesù sulla riva del lago di Galilea”, mentre Paolo “era un uomo di cultura”. Nonostante le esperienze di vita e i caratteri diversi – appassionato l’uno, rigoroso l’altro – entrambi erano accomunati da un inevitabile bagaglio di debolezze umane. Dopo l’arresto di Gesù nell’orto degli ulivi, il primo aveva rinnegato tre volte Cristo. Il secondo, convinto difensore della fede ebraica tradizionale, aveva invece perseguitato i cristiani. “Non erano proprio persone “casa e chiesa””, racconta La Ginestra. “Malgrado questo, sono diventati gli apostoli”. Pietro, oggi considerato il primo vescovo di Roma, aveva poi riconosciuto il proprio peccato e aveva ricevuto la misericordia di Gesù. Paolo, invece, si era convertito sulla via di Damasco, e in veste di apostolo delle genti aveva dedicato la sua vita a predicare il Vangelo. “Entrambi hanno permesso alla Chiesa di Cristo di diventare universale e di essere ancora attuale dopo duemila anni, perché la rivelazione cristiana si rivolge a tutti gli uomini, soprattutto agli ultimi, a quelli che hanno sbagliato e ai più fragili”, spiega La Ginestra. Un insegnamento di fratellanza che emerge anche dallo spettacolo, e che implica “sia l’uguaglianza degli esseri umani, a prescindere dai loro titoli, dalle loro etnie e dalle loro religioni, sia la loro importanza, anche di coloro che sono più cattivi e più lontani. Tutti sono figli dello stesso padre”. Anzi, “chi sbaglia in prima persona, imparerà ad amare meglio di chi non lo fa, perché diventerà più comprensivo nei confronti degli errori altrui”. Una direzione auspicabile, che però si scontra con la realtà odierna, dove invece “si inaspriscono le diversità. A partire dai social: chi non la pensa nel nostro stesso modo, viene messo al bando. Le persone infatti ottengono dall’intransigenza la soddisfazione della propria appartenenza. La soluzione ai contrasti, al contrario, andrebbe ricercata nell’uguaglianza”. IL TEATRO PER RIFLETTERE CON UN SORRISO Il nucleo dello spettacolo Pietro a Paolo a Roma, con la regia di Roberto Marafante e le musiche originali di Emanuele Friello, risiede nel dialogo tra i due apostoli protagonisti, che hanno il volto di La Ginestra, attore e regista teatrale conosciuto dal grande pubblico per aver recitato in fiction come I Cesaroni o in film di registi italiani come Pupi Avati e Paolo Genovese, e di Fabio Ferrari, attore teatrale, televisivo e cinematografico che ha calcato i set di registi come Ettore Scola, Carlo Vanzina, Enrico Montesano e Giovanni Soldati. Con loro, sul palco, ci sono anche Matteo Montalto, Ilaria Nestovito, Brunella Platania, Fabrizia Scaccia e altri quattro performer. Centrale nell’opera è la discussione delle tematiche alla base della fede cristiana, come il contrasto scoppiato tra Pietro e Paolo ad Antiochia e riportato nella Lettera ai Galati di Paolo. Pietro, inizialmente, aveva mangiato insieme ai cristiani provenienti dal paganesimo e non aveva quindi osservato le distinzioni alimentari imposte dalla Legge mosaica, come era lecito per chi aveva compreso la libertà cristiana. All’arrivo dei seguaci di Giacomo, che erano invece ancora legati alla Legge, si era però separato dagli altri. L’intransigente Paolo si era opposto apertamente a Pietro, perché secondo lui il suo comportamento aveva contraddetto la verità del Vangelo: l’uomo non è giustificato dalle opere della Legge, ma solo dalla fede in Gesù Cristo. Agli occhi di Pietro, però, si era trattato “soltanto di un momento di attenzione nei confronti dei fratelli più deboli nella fede”, spiega La Ginestra. “Pietro è più accomodante e capisce di dover eseguire il compito che il Signore gli aveva assegnato: promuovere l’unità della Chiesa. Nel cercare compromessi, non si fa quindi troppi scrupoli”. L’autore richiama “l’immagine del prete di campagna e quella del prete colto di città”, che nello spettacolo si rivolgono a tutti con un linguaggio semplice, a tratti persino inframmezzato dalla cadenza romanesca, perché “il “volemose bene” arriva più diretto al cuore rispetto al “vogliatevi bene””. Inoltre, per La Ginestra, “il teatro deve essere fruibile dalle masse, regalare emozioni e stimolare il confronto, innanzitutto attraverso una risata o un sorriso, che consentono di ottenere la fiducia degli spettatori e di accompagnarli fino ad abbandonarli all’ascolto di temi importanti”. UN MESSAGGIO DI SPERANZA IN UN MONDO DEVASTATO DALLE GUERRE Un simile incantesimo era già accaduto il 29 giugno 2024 in occasione della Solennità dei Santissimi Apostoli, che durante il regno di Nerone erano stati uccisi a Roma, erano poi diventati martiri e oggi sono considerati i patroni di Roma. All’epoca, La Ginestra aveva portato in scena una speciale rappresentazione dell’opera di fronte alla Porta Santa della Basilica di San Pietro, “una magnifica prima assoluta, resa ancora più emozionante dalla presenza, durante la performance, di elementi naturali come gabbiani e uccelli”, racconta. “Nei momenti clou, però, si percepivano soltanto attenzione e silenzio”. Ora, nell’anno del Giubileo, lo spettacolo assume un nuovo significato. Comunica infatti “il messaggio di speranza che l'evento straordinario della Chiesa cattolica vorrebbe urlare a tutto il mondo, e che potrebbe aiutare tutti gli uomini e le donne a convivere con le difficoltà quotidiane: avere fiducia nell’esistenza di qualcosa che vada al di là della vita sulla terra e dell’umanità becera della quale tutti i giorni i telegiornali ci parlano”. L’autore stesso sta vivendo il Giubileo “come un momento particolare del percorso terreno, un richiamo ai valori cristiani e all'accompagnamento del soprannaturale”, spiega. “L’occasione avvicina anche coloro che sono più distanti dalla fede, che incuriositi si avventurano magari in un pellegrinaggio a Roma. La loro scelta, a sua volta, può stimolare i praticanti non solo a rinverdire la propria fede, ma anche a ricercare risposte per i meno credenti”. Il Giubileo 2025, a maggior ragione, è “un evento storico, dato il passaggio di consegne tra due Papi con la morte di Papa Francesco e l’elezione di Papa Leone XIV”. Una tale eccezionalità non può che stimolare una riflessione di La Ginestra sul presente: “Mi incuriosisce interpretare il percorso terreno nell’ottica divina del Padre, che rende più facile la sopportazione delle storture e delle brutture che la vita ci riserva. Penso alle assurde guerre nel mondo, e penso che soprattutto ora un messaggio di speranza, che oltrepassi l’essere umano e la cattiveria, sia necessario”.

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