E' morto a 88 anni il regista di tanti capolavori, da Colazione da Tiffany a Victor Victoria fino alla serie della Pantera Rosa. Fino all'ultimo al suo fianco è rimasta la moglie Julie Andrews
A quasi 90 anni, con la discrezione e l'eleganza che hanno caratterizzato i suoi film più amati, Blake Edwards lascia il mondo del cinema, certamente più povero di sorriso di come lo trovò, e si appresta a mettere di buonumore quella "hall of fame" di cui faceva parte a pieno diritto da ormai più di 50 anni.
Figlio di un regista teatrale, frutto di una buona borghesia che però aveva lo spettacolo nel sangue, William Blake (si fece cambiare il nome perché, diceva "io non posso proprio competere con un vero genio come il mio omonimo") era nato a Tulsa il 26 luglio del 1922 e debuttava al cinema dalla porta principale nemmeno trentenne. Fu la radio a dargli il primo palcoscenico come autore di testi che talora metteva direttamente in scena e da lì passo alla televisione. Passa a Hollywood a metà degli anni '50 con un contratto da autore per la Columbia ma ben presto si trova dietro la macchina da presa.
Il debutto - quasi un segno del destino - nel 1955 è con un musical, "Quando la ragazza è bella" ed è in questi primi lavori che il giovane regista si fa le ossa. Nel '59 conquista per la prima volta il vertice del box office con la commedia sentimentale "Operazione sottoveste": ai suoi ordini ha un mostro sacro come Cary Grant che non ne sopporta il piglio decisionista e le idee chiare e un ancor giovane Jack Lemmon che diverrà invece un vero amico e un perfetto alter ego. Nel film c'è il sorriso, l'ammiccamento, l'uso disinvolto dei generi narrativi (qui la commedia e il film di guerra); manca però ancora quella personalità inconfondibile che Edwards sfodera due anni dopo in "Colazione da Tiffany" (guarda il trailer in alto).
Dopo un giallo con Glenn Ford e un dramma sociale con Jack Lemmon ("I giorni del vino e delle rose"), Edwards ottiene di rischiare in proprio con un suo copione che rivoluziona i canoni della commedia: intinge la penna nel giallo, coniuga ritmi scatenati alla Fratelli Marx con humour britannico alla David Niven, arruola un cast internazionale e porta la sua cinepresa nei luoghi più esclusivi, da Cortina alla Costa Azzurra: sta nascendo nel 1963 il miracolo della "Pantera Rosa".
Come si sa all'inizio il film ha per protagonista un ladro gentiluomo (David Niven) impegnato a rubare una pietra preziosa (la "Pantera Rosa") a un'esotica principessa mediorientale (Claudia Cardinale). Ma, quasi a sorpresa, nel cast si fa largo un paradossale ispettore francese, lo sfortunato e pasticcione Clouseau di Peter Sellers che diventa il vero eroe della storia. Il successo è tale che il regista deve ritoccare in gran fretta un altro copione che teneva nel cassetto, "Uno sparo nel buio" per farne un sequel tutto basato sul personaggio di Clouseau.
Nasce una saga la cui paternità sarà sempre oggetto di risse furibonde tra il regista e l'attore, entrambi convinti di avere il copyright. Nel 1968 fu il disastro commerciale di "Hollywood Party" del 1968 a produrre una frattura insanabile tra il regista e gli studios di Hollywood. Infuriato per i troppi compromessi che aveva accettato in nome dell'adorata moglie (Juliew Andrews), Edwards lascia Hollywood e segue la consorte in Inghilterra per un dorato esilio che durerà dieci anni.
Quando sembra ormai un ferrovecchio per la Mecca del Cinema, l'autore di "Colazione da Tiffany" si prende una clamorosa rivincita dirigendo la top model dei primi anni '80 Bo Derek, al fianco di Dudley Moore in "10". E' ancora un trionfo che permette al regista di vendicarsi di Hollywood con un ritratto al vetriolo, l'autobiografico "S.O.B." (1981) e lo portera', l'anno successivo, a trionfare insieme a Julie Andrews nel suo capolavoro assoluto "Victor Victoria". Ma siamo ormai al crepuscolo punteggiato di opere personali come "Cosi' è la vita" con Jack Lemmon e "Appuntamento al buio" del 1987. Fallisce l'idea di ridar vita a Clouseau dopo la morte di Peter Sellers scovando in Roberto Benigni un improbabile "Figlio della Pantera Rosa", ma fioriscono invece gli allori, dalla Legion d'onore in occasione della retrospettiva al Festival di Cannes (1992) all'unico Oscar (alla carriera) consegnatogli nel 2004 nel corso di una esilarante cerimonia in cui il regista arriva in scena con una carrozzella che manda a infrangersi sulle pareti del teatro.
Rinchiuso nella sua bella casa di Malibu, l'ormai anziano regista si dedica all'attività di scultore e segue le carriere della moglie, dei cinque figli (due adottati, uno avuto dalla moglie prima del loro matrimonio), dei sette nipoti. L'ultima apparizione in pubblico e' di quest'anno con la bella mostra d'arte plastica alla Leslie Sacks Fine Art Gallery di Los Angeles. Di lui si dirà spesso che è stato prima un artigiano che un artista e che la venerazione ottenuta in Europa (specie da parte della critica italiana) non coincide con i semplici attestati di stima della tribù americana del cinema.
Gurda i trailer dei film di Blake Edwards
Figlio di un regista teatrale, frutto di una buona borghesia che però aveva lo spettacolo nel sangue, William Blake (si fece cambiare il nome perché, diceva "io non posso proprio competere con un vero genio come il mio omonimo") era nato a Tulsa il 26 luglio del 1922 e debuttava al cinema dalla porta principale nemmeno trentenne. Fu la radio a dargli il primo palcoscenico come autore di testi che talora metteva direttamente in scena e da lì passo alla televisione. Passa a Hollywood a metà degli anni '50 con un contratto da autore per la Columbia ma ben presto si trova dietro la macchina da presa.
Il debutto - quasi un segno del destino - nel 1955 è con un musical, "Quando la ragazza è bella" ed è in questi primi lavori che il giovane regista si fa le ossa. Nel '59 conquista per la prima volta il vertice del box office con la commedia sentimentale "Operazione sottoveste": ai suoi ordini ha un mostro sacro come Cary Grant che non ne sopporta il piglio decisionista e le idee chiare e un ancor giovane Jack Lemmon che diverrà invece un vero amico e un perfetto alter ego. Nel film c'è il sorriso, l'ammiccamento, l'uso disinvolto dei generi narrativi (qui la commedia e il film di guerra); manca però ancora quella personalità inconfondibile che Edwards sfodera due anni dopo in "Colazione da Tiffany" (guarda il trailer in alto).
Dopo un giallo con Glenn Ford e un dramma sociale con Jack Lemmon ("I giorni del vino e delle rose"), Edwards ottiene di rischiare in proprio con un suo copione che rivoluziona i canoni della commedia: intinge la penna nel giallo, coniuga ritmi scatenati alla Fratelli Marx con humour britannico alla David Niven, arruola un cast internazionale e porta la sua cinepresa nei luoghi più esclusivi, da Cortina alla Costa Azzurra: sta nascendo nel 1963 il miracolo della "Pantera Rosa".
Come si sa all'inizio il film ha per protagonista un ladro gentiluomo (David Niven) impegnato a rubare una pietra preziosa (la "Pantera Rosa") a un'esotica principessa mediorientale (Claudia Cardinale). Ma, quasi a sorpresa, nel cast si fa largo un paradossale ispettore francese, lo sfortunato e pasticcione Clouseau di Peter Sellers che diventa il vero eroe della storia. Il successo è tale che il regista deve ritoccare in gran fretta un altro copione che teneva nel cassetto, "Uno sparo nel buio" per farne un sequel tutto basato sul personaggio di Clouseau.
Nasce una saga la cui paternità sarà sempre oggetto di risse furibonde tra il regista e l'attore, entrambi convinti di avere il copyright. Nel 1968 fu il disastro commerciale di "Hollywood Party" del 1968 a produrre una frattura insanabile tra il regista e gli studios di Hollywood. Infuriato per i troppi compromessi che aveva accettato in nome dell'adorata moglie (Juliew Andrews), Edwards lascia Hollywood e segue la consorte in Inghilterra per un dorato esilio che durerà dieci anni.
Quando sembra ormai un ferrovecchio per la Mecca del Cinema, l'autore di "Colazione da Tiffany" si prende una clamorosa rivincita dirigendo la top model dei primi anni '80 Bo Derek, al fianco di Dudley Moore in "10". E' ancora un trionfo che permette al regista di vendicarsi di Hollywood con un ritratto al vetriolo, l'autobiografico "S.O.B." (1981) e lo portera', l'anno successivo, a trionfare insieme a Julie Andrews nel suo capolavoro assoluto "Victor Victoria". Ma siamo ormai al crepuscolo punteggiato di opere personali come "Cosi' è la vita" con Jack Lemmon e "Appuntamento al buio" del 1987. Fallisce l'idea di ridar vita a Clouseau dopo la morte di Peter Sellers scovando in Roberto Benigni un improbabile "Figlio della Pantera Rosa", ma fioriscono invece gli allori, dalla Legion d'onore in occasione della retrospettiva al Festival di Cannes (1992) all'unico Oscar (alla carriera) consegnatogli nel 2004 nel corso di una esilarante cerimonia in cui il regista arriva in scena con una carrozzella che manda a infrangersi sulle pareti del teatro.
Rinchiuso nella sua bella casa di Malibu, l'ormai anziano regista si dedica all'attività di scultore e segue le carriere della moglie, dei cinque figli (due adottati, uno avuto dalla moglie prima del loro matrimonio), dei sette nipoti. L'ultima apparizione in pubblico e' di quest'anno con la bella mostra d'arte plastica alla Leslie Sacks Fine Art Gallery di Los Angeles. Di lui si dirà spesso che è stato prima un artigiano che un artista e che la venerazione ottenuta in Europa (specie da parte della critica italiana) non coincide con i semplici attestati di stima della tribù americana del cinema.
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