Raffinata sceneggiatrice, ha firmato i capolavori del Cinema italiano: da Senso al Gattopardo, da Salvatore Giuliano a Cuore da Gesù di Nazareth a Speriamo che sia femmina'. IL RICORDO DI PAOLO MEREGHETTI
La sua firma in calce a una sceneggiatura è stata per decenni il marchio di garanzia del cinema italiano. All'età di 96 anni, si è spenta a Roma, Suso Cecchi D'amico, la più grande donna di Cinecittà, che ha sceneggiato alcuni dei più bei capolavori del cinema italiano.
La sua volitiva ed elegante presenza hanno caratterizzato più di un'epoca e la sua femminilità discreta e intransigente sono state la migliore risposta al maschilismo della grande Cinecittà e dell'Italia (o Italietta) tra gli anni '40 e i nostri giorni.
Il cinema di Suso Cecchi d'Amico (nata Giovanna Cecchi, romana, figlia del grande letterato Emilio Cecchi) è intimamente suo e ne porta i segni come una 'griffe' di alta qualità, anche quando i nomi che le si affiancavano erano quelli di Zavattini, Rossellini, Visconti, Antonioni, Monicelli, Rosi o Comencini. Lei attraversava stili, idee, personaggi ed epoche cruciali con una coerenza che rimarra' esemplare.
Era nata il 21 luglio del 1914, figlia di una personalità di spicco della borghesia intellettuale d'inizio secolo (che la introdusse alla cultura inglese e la iscrisse al liceo francese di Roma) e della pittrice Leonetta Pieraccini, sicché durante la guerra Giovanna trovò rifugio nella casa di campagna dello zio, poi primo sindaco della Firenze liberata. Temperamento ribelle, antifascista per formazione nonostante avesse trovato impiego al Ministero delle Corporazioni per interessamento del gerarca Giuseppe Bottai, la futura sceneggiatrice mosse i primi passi nel mondo della celluloide all'indomani della guerra, scrivendo per Renato Castellani il copione di 'Mio figlio professore' (1946). Nel frattempo aveva sposato il musicologo Fedele d'Amico e messo al mondo i primi due figli (ne avrà tre, Masolino, Caterina e Silvia).
I suoi primi compagni di lavoro erano stati Ennio Flaiano (uno degli amici più cari), Alberto Moravia, Ugo de Benedetti, Piero Tellini e anche due grandi attori come Aldo Fabrizi e Anna Magnani. Furono proprio loro, si narra, a metterla in contatto con Cesare Zavattini che la volle al suo fianco per 'Ladri di biciclette' (è sua l'invenzione del furto della bicicletta), 'Miracolo a Milano', 'Le mura di Malapaga'. Vince il primo Nastro d'argento con 'Vivere in pace' di Luigi Zampa nel 1947.
Sebbene il suo contributo sia visibile nel cinema di molti tra i massimi autori italiani, in primis l'Antonioni del primo periodo, è con Luchino Visconti che stringe un sodalizio umano e artistico incomparabile. I due si incontrano per il copione della 'Carrozza del santissimo sacramento' poi realizzato da Jean Renoir e nel 1951 realizzano 'Bellissima'. Da allora non si lasceranno praticamente più, fino al copione di 'La Recherche', il sogno incompiuto di Visconti.
Non si contano i capolavori che recano la firma di Suso Cecchi d'Amico, da 'Senso' al 'Gattopardo', da 'Salvatore Giuliano' a 'Cuore', da 'Gesu' di Nazareth' a 'Speriamo che sia femmina'. Ma Suso non negava, specie negli ultimi anni, il suo magistero di esperienza e stile anche ad autori giovani come Maurizio Sciarra ('La stanza dello scirocco'), Cristina Comencini ('La fine e' nota'), i fratelli Frazzi ('Il cielo cade'). Un impegno di una vita, suggellato nel 1994 alla Mostra di Venezia con il Leone d'oro alla carriera.
Ma Suso non si tirava indietro anche nelle grandi battaglie politiche e culturali a tutela dei diritti della cultura e del cinema italiano.
Aveva modi da gran signora ed eloquio spiccio 'risciacquato in Arno', amava le lunghe estati nella sobria casa di Castiglioncello e le lunghe sere a discutere di cinema e vita insieme ai figli e ai loro amici. Amava avidamente la vita e ne guardava le ricorrenti follie con un po' di ironico distacco intriso di elegante umorismo.
Amava il bel cinema e dal cinema è stata sempre ripagata come si deve alla più grande donna di Cinecittà.
La sua volitiva ed elegante presenza hanno caratterizzato più di un'epoca e la sua femminilità discreta e intransigente sono state la migliore risposta al maschilismo della grande Cinecittà e dell'Italia (o Italietta) tra gli anni '40 e i nostri giorni.
Il cinema di Suso Cecchi d'Amico (nata Giovanna Cecchi, romana, figlia del grande letterato Emilio Cecchi) è intimamente suo e ne porta i segni come una 'griffe' di alta qualità, anche quando i nomi che le si affiancavano erano quelli di Zavattini, Rossellini, Visconti, Antonioni, Monicelli, Rosi o Comencini. Lei attraversava stili, idee, personaggi ed epoche cruciali con una coerenza che rimarra' esemplare.
Era nata il 21 luglio del 1914, figlia di una personalità di spicco della borghesia intellettuale d'inizio secolo (che la introdusse alla cultura inglese e la iscrisse al liceo francese di Roma) e della pittrice Leonetta Pieraccini, sicché durante la guerra Giovanna trovò rifugio nella casa di campagna dello zio, poi primo sindaco della Firenze liberata. Temperamento ribelle, antifascista per formazione nonostante avesse trovato impiego al Ministero delle Corporazioni per interessamento del gerarca Giuseppe Bottai, la futura sceneggiatrice mosse i primi passi nel mondo della celluloide all'indomani della guerra, scrivendo per Renato Castellani il copione di 'Mio figlio professore' (1946). Nel frattempo aveva sposato il musicologo Fedele d'Amico e messo al mondo i primi due figli (ne avrà tre, Masolino, Caterina e Silvia).
I suoi primi compagni di lavoro erano stati Ennio Flaiano (uno degli amici più cari), Alberto Moravia, Ugo de Benedetti, Piero Tellini e anche due grandi attori come Aldo Fabrizi e Anna Magnani. Furono proprio loro, si narra, a metterla in contatto con Cesare Zavattini che la volle al suo fianco per 'Ladri di biciclette' (è sua l'invenzione del furto della bicicletta), 'Miracolo a Milano', 'Le mura di Malapaga'. Vince il primo Nastro d'argento con 'Vivere in pace' di Luigi Zampa nel 1947.
Sebbene il suo contributo sia visibile nel cinema di molti tra i massimi autori italiani, in primis l'Antonioni del primo periodo, è con Luchino Visconti che stringe un sodalizio umano e artistico incomparabile. I due si incontrano per il copione della 'Carrozza del santissimo sacramento' poi realizzato da Jean Renoir e nel 1951 realizzano 'Bellissima'. Da allora non si lasceranno praticamente più, fino al copione di 'La Recherche', il sogno incompiuto di Visconti.
Non si contano i capolavori che recano la firma di Suso Cecchi d'Amico, da 'Senso' al 'Gattopardo', da 'Salvatore Giuliano' a 'Cuore', da 'Gesu' di Nazareth' a 'Speriamo che sia femmina'. Ma Suso non negava, specie negli ultimi anni, il suo magistero di esperienza e stile anche ad autori giovani come Maurizio Sciarra ('La stanza dello scirocco'), Cristina Comencini ('La fine e' nota'), i fratelli Frazzi ('Il cielo cade'). Un impegno di una vita, suggellato nel 1994 alla Mostra di Venezia con il Leone d'oro alla carriera.
Ma Suso non si tirava indietro anche nelle grandi battaglie politiche e culturali a tutela dei diritti della cultura e del cinema italiano.
Aveva modi da gran signora ed eloquio spiccio 'risciacquato in Arno', amava le lunghe estati nella sobria casa di Castiglioncello e le lunghe sere a discutere di cinema e vita insieme ai figli e ai loro amici. Amava avidamente la vita e ne guardava le ricorrenti follie con un po' di ironico distacco intriso di elegante umorismo.
Amava il bel cinema e dal cinema è stata sempre ripagata come si deve alla più grande donna di Cinecittà.