L’iniziativa, che prende il nome di PeachRefPop, prevede la coltivazione di 400 varietà della pianta in quattro piantagioni identiche ricreate in Italia, Spagna e Grecia
Conservare la diversità genetica del pesco e scoprire le sue capacità di adattamento ai cambiamenti climatici: è questo l’obiettivo principale del progetto PeachRefPop, la “banca” internazionale del pesco. L’iniziativa, descritta sulle pagine della rivista specializzata Plant Physiology, prevede la coltivazione di 400 varietà della pianta in quattro frutteti identici ricreati in Italia, Spagna e Grecia ed è guidata dall’Università Statale di Milano e dal Crea, con la partecipazione del Centro Ricerche Produzioni Vegetali (Crpv) e del Servizio Fitosanitario della Regione Emilia Romagna.
I quattro frutteti
In Italia, il frutteto creato nell’ambito del progetto si trova a Imola ed è identico a quello di Naoussa in Grecia e a quelli di Gimenells e Murcia in Spagna. Le piantagioni seguono lo stesso schema in ciascuna località, così da consentire il confronto statistico per fare luce sul rapporto tra la genetica della pianta e l’ambiente, oltre che sugli effetti di diversi trattamenti sperimentali di irrigazione, concimazione e lotta ai parassiti. “Ogni campo si estende per un ettaro e mezzo e contiene circa 1.200 alberi rappresentativi di oltre 400 varietà provenienti da coltivazioni di tutta Europa, che abbiamo scelto per la loro importanza storica, genetica ed economica”, spiega Marco Cirilli, docente di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree presso l'Università Statale di Milano. “Le abbiamo replicate in diversi siti per comprendere le interazioni fra pianta e ambiente, che studieremo con strumenti genomici all’avanguardia in modo da chiarire i meccanismi di adattabilità”. Presso la sede del Crea, a Roma, è stata creata una copia parziale del frutteto, contenente 180 varietà di pesco.
La nascita del progetto
Il progetto PeachRefPop è iniziato sei anni fa. Dopo aver scelto le varietà da coltivare, gli esperti sono passati allo scambio di materiali con altri istituiti europei, che hanno fornito le gemme necessarie. “Qui in Italia abbiamo provveduto all’innesto e alla propagazione delle piante, che dopo attenti controlli fitosanitari abbiamo distribuito nei cinque siti”, spiega Cirilli. Ora gli alberi hanno quattro anni e stanno iniziando a produrre i primi frutti. “Per noi il progetto non ha solo un valore scientifico, ma anche culturale: per questo stiamo lavorando per rendere i frutteti fruibili al pubblico”.