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Hayabusa 2 ‘saluta’ l'asteroide Ryugu e inizia il viaggio di ritorno

Scienze
Immagine di archivio (Ansa)

La sonda si sta allontanando dal corpo celeste alla velocità di 10 centimetri al secondo. Il suo ritorno sulla Terra, previsto per la fine del 2020, permetterà ai ricercatori di analizzare i campioni di Ryugu raccolti a febbraio e luglio 2019 

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L’Agenzia spaziale giapponese (Jaxa) ha annunciato che, dopo quasi 18 mesi di rendez-vous, la sonda Hayabusa 2 si è lasciata alle spalle l’asteroide Ryugu e ha iniziato il lungo viaggio verso la Terra. Il suo ritorno sul pianeta avverrà entro la fine del 2020 e permetterà agli scienziati di mettere le mani su alcuni frammenti del corpo celeste, raccolti a febbraio e a luglio 2019: la loro analisi potrebbe svelare nuovi indizi sulle origini del Sistema Solare e dell’acqua allo stato liquido sulla Terra. La sonda sgancerà il carico contenente i materiali recuperati, attualmente sigillati in speciali contenitori, quando passerà vicino alla Terra a dicembre 2020.

Il ritorno della sonda Hayabusa 2

Hayabusa 2 si sta allontanando da Ryugu alla velocità di 10 centimetri al secondo, ma potrà accendere i motori per mettersi in traiettoria verso la Terra solo lunedì 18 novembre, quando sarà libera dall’influenza gravitazionale del corpo celeste. Nel frattempo, la sonda continuerà a scattare numerosissime fotografie all’asteroide. Una volta terminata la sua missione, Hayabusa 2 raggiungerà l’orbita di un nuovo corpo celeste.

La raccolta dei frammenti di Ryugu

Negli scorsi mesi, la sonda Hayabusa 2 è atterrata sull’asteroide Ryugu, distante circa 340 milioni di chilometri dalla Terra, in due distinte occasioni. Il primo contatto è avvenuto lo scorso febbraio ed è stato trasmesso in diretta streaming dalla Jaxa. In questa occasione, la sonda ha sparato un mini proiettile per far alzare dalla superficie polvere e detriti da conservare fino al ritorno sulla Terra. Ad aprile 2019, invece, Hayabusa 2 ha provocato un’esplosione sull’asteroide, creando così un cratere in cui sono conservati dei minerali ‘puri’, cioè che non sono mai stati esposti alle radiazioni solari, ai raggi cosmici e agli sbalzi di temperatura. La Jaxa ha definito l’operazione come “il primo esperimento di collisione con un asteroide”. I frammenti di roccia prodotti dalla detonazione sono stati recuperati nel corso del secondo atterraggio, avvenuto l’11 luglio 2019.