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Cambiamenti climatici, scoperta l’arma segreta del faggio abruzzese

Scienze

Un team internazionale guidato da due istituti del Cnr ha stabilito che gli alberi, sottoposti allo stress della perdita delle foglie a causa delle gelate tardive, si servono di vecchie riserve di carbonio  

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La regione mediterranea è una tra le più vulnerabili ai cambiamenti climatici che stanno interessando il nostro Pianeta. Questo può tradursi, ad esempio, in temperature più alte nel periodo primaverile che possono essere causa dell’anticipo della stagione vegetativa anche in montagna, esponendo ecosistemi come quelli dei boschi di faggio al rischio di gelate tardive, letali per le foglie degli alberi. Studiando proprio i comportamenti del faggio abruzzese, un team internazionale guidato da due istituti (Isafom e Iret) del CNR, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha scoperto che questi alberi si servono di riserve di carboidrati immagazzinate anche cinque anni prima, con l’obiettivo mirato di far rinascere le foglie perse in seguito ad una gelata tardiva e riprendere così il processo di fotosintesi.

La gelata del 2016

Gli studiosi sono partiti da quanto successo nel 2016, quando i boschi montani del Centro e del Sud Italia, avevano anticipato la stagione vegetativa di un paio di settimane, colpiti da una gelata avvenuta alla fine di aprile. Nello specifico, così come si legge in articolo pubblicato dal CNR sul proprio portale, l’attenzione dei ricercatori è caduta sul bosco di faggi di Selva Piana, in provincia de L’Aquila, situato a 1.500 m sopra il livello del mare. Qui la temperatura era scesa fino a -6.5 gradi centigradi, causando la caduta delle foglie e costringendo gli alberi a riformarle interamente, grazie anche all’ausilio di riserve di carbonio.

Stimata l’età delle riserve di carbonio

L’ Istituto per i sistemi agricoli e forestali del mediterraneo e l’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri, in stretta collaborazione con l’Istituto per la biogeochimica del Max-Planck di Jena in Germania, hanno deciso di stimare l’età media del carbonio che era parte integrante delle riserve dei faggi di quella zona, con l’idea di determinarne l’origine, attraverso la datazione con radiocarbonio. In base ai dati raccolti dallo studio, che è stato anche pubblicato sulla rivista ‘New Phytologist’, è emerso che le riserve utilizzate dai faggi nei periodi in cui sono privi di foglie sono diventate progressivamente più ‘vecchie’, sino a raggiungere circa un mese un mese dopo la gelata, un’età di cinque anni. In pratica come se le riserve di carbonio fossero costituite da elementi fissati nella fotosintesi del 2011.

La capacità dei faggi abruzzesi

“Questi dati dimostrano per la prima volta che, per sopravvivere a periodi senza apporto di carboidrati da fotosintesi, alberi di faggio completamente defoliati sono in grado di mobilizzare le riserve immagazzinate diversi anni prima. Il contenuto di riserve della faggeta studiata è risultato ristabilito al termine della stagione vegetativa del 2016, confermando la plasticità del faggio agli stress ambientali”, ha specificato Ettore D’Andrea, primo autore dello studio. Ora, dicono gli esperti, è importante proseguire negli studi per valutare se l’incremento dei fattori di stress come le gelate, determinato dal cambiamento climatico, possa ridurre le capacità di risposta degli ecosistemi, anche per dare indicazioni finalizzate al loro adattamento.