Alzheimer, sì dall’Ema a nuovo farmaco ma solo per una categoria di pazienti
Salute e BenessereIl Comitato dell’Ema ha dato il via libera al farmaco anti-Alzheimer i Leqembi (lecanemab) per i pazienti nelle fasi iniziali della malattia con una o nessuna copia del gene ApoE4. La decisione segue un riesame che ha confermato benefici maggiori dei rischi per una popolazione selezionata. La decisione finale spetta ora alla Commissione Europea, che dovrebbe esprimersi entro un paio di mesi per l’approvazione definitiva
Cambio di passo dell’Agenzia europea per il farmaco sulla terapia anti-Alzheimer: il Comitato per i medicinali a uso umano (Chmp) dell’Ema, dopo aver riesaminato il suo parere iniziale, ha dato il via libera all’uso di Leqembi (lecanemab), una terapia specifica per l’Alzheimer precoce, ma solo per una categoria di pazienti. Il Chmp “ha raccomandato di concedere un'autorizzazione all'immissione in commercio per Leqembi, per il trattamento del deterioramento cognitivo lieve (problemi di memoria e pensiero) o della demenza lieve dovuta alla malattia di Alzheimer (malattia di Alzheimer in fase precoce) in pazienti che hanno solo una o nessuna copia di ApoE4, una certa forma del gene per la proteina apolipoproteina E”, ha informato l’ente regolatore Ue in una nota. Il riesame dell’Ema ha dunque concluso che i benefici superano i rischi in una popolazione di pazienti limitata. Lecanemab è il primo farmaco che, se somministrato nelle fasi iniziali, può rallentare la progressione dell'Alzheimer. Ha già ricevuto il via libera negli Stati Uniti, in Giappone e nel Regno Unito.
A chi verrà somministrato?
Leqembi appartiene a una famiglia di anticorpi monoclonali progettati per colpire la beta amiloide, una proteina anomala che si deposita nel cervello dei pazienti affetti da Alzheimer. Il farmaco sarà distribuito attraverso un programma di accesso controllato, per garantire che venga utilizzato solo nella popolazione di pazienti raccomandata. La decisione dell’Ema di limitarne l’utilizzo a una specifica popolazione deriva dal fatto che "i pazienti con solo una o nessuna copia di ApoE4, rispetto alle persone con due copie di ApoE4, hanno meno probabilità di manifestare un effetto collaterale grave riconosciuto con il farmaco, cioè le Anomalie di imaging correlate all'amiloide (Aria), che comportano gonfiore e potenziale sanguinamento nel cervello”. Il Chmp ha concluso che, “nella popolazione ristretta valutata nel riesame, i benefici di Leqembi nel rallentare la progressione dei sintomi della malattia sono maggiori dei suoi rischi”.
La prima bocciatura
A luglio 2024, il Comitato dell’Ema aveva espresso parere negativo sull'uso del farmaco in una popolazione più ampia, comprendente tutti i pazienti con Alzheimer precoce. Tuttavia, alla luce di nuovi dati che evidenziano un rischio inferiore di Aria in alcuni sottogruppi di pazienti, il Comitato ha rivisto la sua valutazione. Le Aria, infatti, si manifestano in due forme principali: Aria-E, che comporta un accumulo di liquido nel cervello (edema), e Aria-H, caratterizzata da piccole emorragie cerebrali. Sebbene queste problematiche possano presentarsi naturalmente in tutti i pazienti con Alzheimer, l’assunzione di farmaci come Leqembi può aggravarle.
Le motivazioni dietro la nuova decisione
Nel riesame richiesto dall’azienda, il Chmp ha analizzato i dati di sottogruppi che escludevano i pazienti portatori di due copie del gene ApoE4, considerati a maggior rischio di sviluppare Aria. I risultati hanno mostrato che tra i pazienti trattati con Leqembi, l’8,9% di quelli con una sola o nessuna copia di ApoE4 ha manifestato Aria-E, contro il 12,6% rilevato nella popolazione generale. Per quanto riguarda Aria-H, la percentuale nella popolazione ristretta è stata del 12,9%, rispetto al 16,9% nella popolazione più ampia. Tra i pazienti trattati con placebo, le percentuali erano più basse: l’1,3% per Aria-E e il 6,8% per Aria-H nella popolazione ristretta.
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I benefici
In termini di efficacia, i benefici di lecanemab nella popolazione ristretta risultano simili a quelli osservati nella popolazione più ampia. L’azienda ha fornito un’analisi di sottogruppo basata sui dati dello studio principale, che includeva 1.521 pazienti con una o nessuna copia del gene ApoE4, su un totale di 1.795 partecipanti. L’efficacia del farmaco è stata misurata attraverso una scala che valuta i sintomi cognitivi e funzionali, la Cdr-Sb, registrando i cambiamenti dopo 18 mesi di trattamento. I pazienti trattati con Leqembi hanno mostrato un declino cognitivo più lento rispetto a quelli che hanno ricevuto il placebo: il punteggio è aumentato di 1,22 nei pazienti trattati, contro 1,75 nei pazienti del gruppo placebo.
Misure per ridurre i rischi
Per ridurre il rischio di effetti collaterali gravi come le Aria, il Chmp ha stabilito l’adozione di specifiche misure preventive. I pazienti dovranno effettuare risonanze magnetiche (Mri) prima di iniziare il trattamento e prima della quinta, settima e quattordicesima dose. Inoltre, altre scansioni potranno essere richieste se si manifestano sintomi sospetti, come mal di testa, confusione, problemi alla vista, vertigini, nausea o difficoltà a camminare. L’Ema fornirà agli operatori sanitari una guida pratica, una checklist e programmi di formazione dedicati. Anche i pazienti riceveranno una scheda informativa per segnalare eventuali sintomi e garantire una diagnosi e un intervento tempestivi in caso di complicazioni.
Le prossime tappe
Il parere dell’Ema sarà ora trasmesso alla Commissione europea per l'adozione di una decisione sull'autorizzazione all'immissione in commercio a livello europeo. L'approvazione definitiva è attesa entro un paio di mesi. Una volta concessa l’autorizzazione, ogni Stato membro sarà responsabile di definire prezzi e modalità di rimborso, adattandoli alle specificità del proprio Sistema sanitario nazionale.
Clinici: "Nuova storia per il trattamento dei pazienti con Alzheimer"
Soddisfazione è stata espressa dai clinici. "La notizia dell'approvazione apre una nuova storia per il trattamento dei pazienti con Alzheimer, in particolare per coloro che si trovano nelle fasi iniziali per i quali la progressione della malattia potrà essere contrastata", hanno riferito in una nota congiunta Alessandro Padovani, presidente della Società Italiana di Neurologia, e Marco Bozzali, presidente della Società Italiana per lo Studio delle Demenze. Gli esperti sono comunque cauti: "Sicuramente non tutti i malati potranno beneficiare di questo trattamento", avvertono. Inoltre, "dovremo attendere la decisione di Aifa anche in relazione ai centri che verranno autorizzati in Italia a somministrare la terapia, in attesa che altri farmaci ad azione simile vengano autorizzati in futuro".
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