Perché i genitori dei Millennial non vanno in terapia ma dovrebbero

Prego, scomodati ché parliamo di gobbi rinchiusi a Notre-Dame. Il 10 ottobre è stata la Giornata Mondiale della Salute Mentale. Non so se si scriva tutto maiuscolo. Probabilmente no. Cerco su Google e in effetti è scritto in minuscolo. Ma a me non importa, sono pronta a farne un brand: GMSM. Giornata Mondiale della Salute Mentale. Esiste ed è riconosciuta a livello globale dal 1992 ma io ho come l’impressione che sia nata ieri, perché i veri rifondatori del concetto di igiene psichica sono i Millennial, la cosiddetta “Generation Therapy”: difficile che qualcuno di loro non abbia mai avuto almeno uno psicologo. Per questa ragione sono stati tacciati dai loro genitori, datori di lavoro e governanti come bamboccioni, debosciati, fragili, rammolliti, problematici. La psicoanalisi la chiamerebbe “proiezione”: si sono sentiti mettere addosso quello che in realtà è dei loro genitori, datori di lavoro e governanti più agé, che non stanno affatto meglio di loro - anzi! - ma che sono figli di una cultura a proposito della quale mi sembra che i giorni intorno al 10 ottobre richiedano di dire qualcosina. Impera infatti il concetto che prima dei giorni nostri non ci si sia occupati di salute psichica, come se fosse un’invenzione del nuovo millennio. Come se “prima” ci si evitasse di ammalare pensando ad altro. A cosa? Alle cose giuste. Alle cose degli adulti. Al lavoro. Alla famiglia. Alla Patria. Ai valori. Serpeggia tra i nervi gli uni degli altri che il disagio e il malessere siano una trovata contemporanea, figlia del tempo a disposizione di chi non ha la sopravvivenza a cui pensare, figlia dell’eccessivo benessere, figlia della noia, figlia delle infanzie viziate ché chi è cresciuto con il sapore della cinghia sulla schiena invece come è cresciuto bene e senza grilli per la testa, signora mia. Resiste nella mente collettiva l’idea che il dolore della mente sia il risultato della fragilità di chi è stato cresciuto in modo troppo morbido , di chi non si è fatto gli anticorpi contro le asperità della vita e avrebbe dovuto “prenderne di più”, secondo l’idea perversa per la quale se le prime mazzate forti le prendi in casa, poi ringrazierai i tuoi genitori per l’acquisita capacità di reggere alla grande gli urti della vita - quando la verità è che non farai che credere che i colpi siano il tuo naturale destino, nonché un segno amorevole di attenzione. Ebbene: è il mio mestiere che si è celebrato il 10 ottobre, e spinge. Mi fa sentire forte l’esigenza di puntualizzare due concetti. Solo due. Generalmente sono più prolissa, ma questa volta, lettore scomodo, o ci sei o non ci sei. Se ci sei, ti basteranno le mie due cose. Se non ci sei, non te ne basterebbero comunque diecimila. La prima: il malessere causa malessere. I figli della cosiddetta “pedagogia nera”, ovvero l’educazione violenta che i genitori contemporanei stanno smantellando ma non di rado ancora conosce una certa fortuna, ha creato dei miserabili. I “miserabili” alla maniera di Victor Hugo, quelli che vivono come possono, quelli che non sono in grado, quelli della strada e degli stracci. Quelli che hanno un orizzonte di futuro corto. Quelli che oggi sono i genitori dei Millennial che vanno in massa in terapia al posto loro, perché loro non ci sono andati. Ed ecco la seconda cosa: sapete perché non ci sono andati? La psicoanalisi e la psicoterapia esistevano già. E no, non nominatemi le questioni economiche, perché il punto è decisamente un altro: fino a prima d’ora, chi stava male veniva istituzionalizzato. Dai portatori di handicap a chi era troppo agitato, fino a quasi gli anni ’80 i cosiddetti matti venivano rinchiusi nei manicomi, non senza una certa facilità che in particolare svantaggiava donne e bambini - in un’epoca nella quale la condizione femminile e quella infantile di fatto non godevano di alcun riguardo. Esisteva eccome, la malattia mentale: esiste con gli esseri umani, ovvero da sempre. Non solo: esisteva più che mai proprio perché veniva relegata dentro a lager di degrado e abbandono che occorrevano a separare i presenti sani dai presunti malati, affinché non ci si contagiasse a vicenda. Così, fino ad ora è stata la fortuna dei suicidi passati come tragici incidenti, delle depressioni maggiori chiamate esaurimenti, di bambini cresciuti per mesi o anni con gli zii mentre la mamma “era lontana” , degli psicofarmaci presi a vita perché avevano un nome innocuo , dei diversi puniti in quanto tali anziché conosciuti come risorsa. I giovani adulti contemporanei non stanno peggio dei loro genitori e dei loro nonni. Vanno tutti in terapia, hanno l’ecoansia, la FOMO e la dismorfofobia, ma diamine se non fanno finta di non averle. Anzi, le battezzano e vanno cercando sulla loro pelle una cura, prima che quella pelle si scortichi. Alla “S” di salute, infatti, troviamo: chiedere e ricevere aiuto. Le famiglie, dal canto loro, da un lato non si capacitano di cosa sia mancato ai figli e dall’altro si sentono minacciate e in colpa : avrebbero davvero voluto offrire di meglio, ma non è stato possibile perché non c’è stata la cura, prima. Quella stessa cura che oggi i trentenni si stanno pagando a caro prezzo. Quella per i quali vengono irrisi. L’unica che potrebbe farci dire che saranno genitori sani di figli finalmente più sani. Solo allora, la legge 180 che chiedeva dignità per ognuno troverà finalmente compimento nella società degli esseri umani come luogo nel quale vivere e accogliere tutti. … ché lo sapete chi sono, i matti? Non sono altro che quelli che soffrono oltremisura e non trovano nessuno che li guardi con amore e dica loro con un cenno del capo: Sì, capisco. Ché da amato bene, nessuno ammattisce. Nessuno. E allora, buona cura a tutti - affinché se ne avvantaggino tutti.