Mpox, dove e come si sta diffondendo l'epidemia. Le mappe

A metà agosto è stata dichiarata l’emergenza internazionale. L’epidemia di Mpox sta colpendo l’Africa centrale, in particolare la Repubblica democratica del Congo ed ha raggiunto una dimensione tale da preoccupare le autorità sanitarie globali che hanno lanciato l’allarme. Ad aggiungere timori è intervenuta anche la scoperta di un nuovo ceppo del virus, il Clade 1b, con la conseguente paura di varianti che potrebbero risultare più aggressive e sfuggire più agevolmente alle misure di profilassi. Ma qual è al momento la situazione di questa epidemia? Ed è possibile fotografare la diffusione di Mpox? L'epidemia in Africa Come ha dimostrato Sars Cov-2, le epidemie possono diventare pandemie con tutte le drammatiche conseguenze del caso. Da qui nascono le preoccupazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità anche se, al momento, la diffusione di Mpox riguarda principalmente i Paesi dell’Africa centrale. Il virus colpisce soprattutto lungo la fascia equatoriale, dalla Liberia nell’estremo occidente dove ad agosto 2024 risultavano confermati sei casi, al Kenya che si affaccia sull’Oceano indiano . Il Paese più colpito Come mostra la mappa, il Paese di gran lunga più colpito dall’epidemia resta la Repubblica democratica del Congo. È qui infatti che si registra finora il maggior numero di persone infettate: quasi 18mila casi sospetti tra il 6 gennaio 2023 e il 31 agosto 2024. La diffusione del virus ha raggiunto tutte le aree del Paese con situazioni particolarmente difficili nella provincia occidentale di Équateur e in quella orientale di Sud-Kivu . La provincia di Équateur è anche quella con il più alto numero di vittime provocate dall’epidemia: 330 secondo il bollettino di Africa Center for Desease Control and Prevention del 31 agosto. Come spiega un recente articolo del quotidiano americano New York Times, il sistema sanitario della Repubblica democratica del Congo manca delle risorse necessarie per combattere in modo efficace la diffusione del virus. Il Paese fatica infatti a diagnosticare i casi di Mpox e a tracciare i contatti delle persone infettate. Mancano inoltre efficaci trattamenti antivirali e non ci sono abbastanza farmaci per trattare le lesioni, spesso molto dolorose, provocate da Mpox. C’è, infine, il nodo vaccini. La Repubblica democratica del Congo è ancora in attesa di dosi sufficienti per avviare una campagna che protegga almeno gli operatori sanitari e i contatti più stretti di coloro che sono stati infettati. Le varianti In questo contesto, rimane anche da capire quale impatto potrà avere la diffusione del nuovo ceppo di Mpox, Clade 1b. “Clade 1b ha una maggiore fitness che probabilmente le ha garantito la capacità di diffondere oltre i confini della Repubblica Democratica del Congo e addirittura fuori dall’Africa con i due casi recenti di Svezia e Tailandia”, spiega Francesco Branda, ricercatore dell’Unità di Statistica Medica ed Epidemiologia Molecolare presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma e autore di uno studio in attesa di pubblicazione sulla rivista Infectious Diseases che ricostruisce le caratteristiche genetiche del Clade 1b. Su questo fronte, le notizie potrebbero non essere del tutto negative. “In Africa, il nuovo lignaggio non ha soppiantato quello ancestrale”, continua Branda. “Dal punto di vista evolutivo, questo è positivo, poiché suggerisce che, sebbene la fitness del nuovo lignaggio sia migliorato, non è ancora abbastanza forte da sostituire completamente il lignaggio ancestrale, che rimane più stabile e conservato nell'area. Inoltre, non ci sono ancora prove che questa variante si trasmetta meglio o causi una malattia più grave rispetto al Clade 1a. Di fatto, viste le circostanze e vista la modalità di trasmissione, è ancora possibile controllare la diffusione del nuovo lignaggio attraverso prevenzione e informazione potenziate”. Abbiamo bisogno di dati La situazione descritta dai numeri è dunque preoccupante. Anche se è probabile che le statistiche di cui disponiamo non restituiscano l’intera portata del fenomeno, anzi la sottovalutino. Come ha insegnato Sars Cov-2 nel 2020, i dati sono uno strumento fondamentale nella gestione delle epidemie e delle pandemie. In particolare, la raccolta tempestiva e aggiornata, eseguita con procedure rigorose e seguita da una pubblicazione in formati facilmente elaborabili dovrebbe rappresentare uno standard. Non sempre è così, purtroppo, e non lo è neppure in questo caso dove ad essere colpiti sono Paesi con risorse limitate. E la qualità dei dati inevitabilmente ne risente. “Abbiamo bisogno di dati precisi e tempestivi per poter intervenire efficacemente”, spiega Branda, che oltre ad essere autore dello studio su Clade 1b cura vari archivi dove vengono raccolti dati relativi alla diffusione di numerosi virus, tra questi anche mpox. “La sottovalutazione del fenomeno a causa della mancanza di dati accurati potrebbe portare a ritardi nelle risposte sanitarie e all’aggravarsi della situazione. Senza dati affidabili, è impossibile determinare l’efficacia delle misure adottate, valutare l’entità della diffusione del virus o anche solo identificare tempestivamente i focolai emergenti.” Branda sottolinea come l’esperienza passata con altre pandemie, come quella dell’HIV/AIDS o dell’Ebola, abbia dimostrato l’importanza cruciale di un sistema di monitoraggio robusto. “Durante l’epidemia di Ebola in Africa occidentale, la raccolta insufficiente di dati ha contribuito all’incapacità iniziale di contenere il virus. La mancanza di dati chiari ha significato che il mondo si è accorto dell’epidemia solo quando era già troppo tardi per intervenire con misure preventive efficaci”, ricorda Branda. “Lo stesso principio vale per Mpox e altri virus emergenti. I dati non solo ci aiutano a comprendere dove e come si diffonde il virus, ma forniscono anche indicazioni fondamentali su chi è più a rischio, permettendo di indirizzare risorse limitate in modo più efficiente”.