Il tumore della mammella è il più diffuso nei paesi occidentali. Una donna su 9 nel corso della propria vita è destinata ad ammalarsi di questa patologia. Il Prof. Paolo Veronesi dell'IEO spiega: il tumore si può sconfiggere
Abbiamo parlato di tumore alla mammella con il Prof. Paolo Veronesi, direttore del programma senologia dell'Istituto Europeo di Oncologia. In una lunga intervista ci ha spiegato quali sono i diversi tipi di tumore al seno e quali sono le nuove frontiere della ricerca.
Cos’è oggi il tumore al seno?
Il tumore della mammella oggi è in assoluto il tumore più frequente nel nostro Paese come in tutti i paesi occidentali. Ogni anno in Italia si ammalano quasi 55 mila donne, ed è un tumore particolarmente frequente se consideriamo che riguarda solo metà della popolazione; per fare un esempio il secondo in ordine di frequenza è il tumore dell’intestino che vede 43 mila casi all’anno distribuiti però sul doppio di popolazione (maschi e femmine). Si calcola che più o meno una donna su 9 è destinata ad ammalarsi di tumore della mammella nel corso della propria vita.
Chi si ammala?
Sappiamo che ci sono dei fattori di rischio, sappiamo che dipende molto dallo stile di vita (alimentazione, assunzione di alcohol…), da alcuni fattori riproduttivi tipo l’età della prima gravidanza - che se in età precoce protegge e altrimenti no - e questo è anche uno dei motivi che spiega perché è aumentata così tanto l’incidenza negli ultimi decenni: le donne hanno cambiato molto le loro abitudini. Una volta i figli si facevano a 20 anni e oggi è molto raro farli prima dei 30, quindi la mammella non ha questo effetto protettivo delle gravidanze. Incide anche la durata del periodo fertile, si va in menopausa più tardi e questo aumenta il rischio. Molto importanti sono però i fattori familiari: sappiamo che esistono delle famiglie in cui c’è un elevato rischio di ammalarsi di questo tumore e lo vediamo perché diversi membri si ammalano (delle donne o a volte anche degli uomini). In queste famiglie ora siamo in grado di capire se c’è una vera e propria predisposizione genetica, ovvero dei geni alterati (i più comuni si chiamano BRCA1 e BRCA2 ma ce ne sono anche molti altri che oggi possiamo testare nei pannelli multigenici) che predispongono le donne fin dalla nascita a sviluppare la malattia. Chiaramente non si eredita la malattia - ma si eredita la predisposizione ad ammalarsi - che però aumenta il rischio di molte volte, per cui queste donne hanno il 70-80% di probabilità di ammalarsi nel corso della propria vita.
Chi deve fare i controlli per la predisposizione genetica?
Ci sono delle linee guida ben precise immesse nel sistema sanitario regionale che dicono chi può accedere a questi test e chi no, anche perché naturalmente hanno un costo ancora importante che poi grava sul sistema sanitario. Si può fare il test genetico se si è ammalati di tumore alla mammella e si hanno collateralmente altre due casi di tumore nella stessa famiglia, se ci si ammala di tumore alla mammella in età molto giovane (sotto i 35 anni), se si ammala un maschio (perché non è la regola ma ci sono anche questi casi), oppure naturalmente se si ha un parente cui è già stato fatto un test genetico con esito positivo per una di queste mutazioni. In questi casi si può accedere al test genetico a titolo gratuito. Naturalmente oggi i laboratori possono effettuare il test anche in regime privato, perciò se si vuole fare per conto proprio perché si è curiosi di sapere se si ha questa mutazione si può fare tranquillamente; devo dire però che al di fuori delle linee guida la possibilità di trovare una mutazione genetica è talmente bassa che non conviene effettuare questo test.
I casi aumentano ma la mortalità è sempre minore, giusto?
La mortalità per tumore alla mammella rispetto ai numeri dei casi è costantemente in discesa da ormai 30 anni e questo significa due cose: la prima è che li diagnostichiamo più precocemente questi tumori, quando hanno una maggior probabilità di guarigione, e la seconda è che li curiamo anche meglio. Abbiamo terapie più efficaci, interventi più efficaci, radioterapie più mirate e quindi la guaribilità aumenta molto, tanto che il tumore diagnosticato in fase molto molto precoce ha possibilità di cura elevatissime e superiamo il 95% di guarigione. Questo è quello a cui noi vorremmo sempre arrivare, cioè scoprire il tumore prima che si renda manifesto, prima che diventi palpabile (e oggi lo possiamo fare grazie alla mammografia, all’ecografia, alla risonanza e tutti gli esami che abbiamo a disposizione).
Ancora oggi però vediamo tumori più avanzati, di grandi dimensioni, con linfonodi ascellari intaccati in cui chiaramente la prognosi è un po’ peggiore anche se comunque siamo in grado di curarli bene e questo molto spesso è dovuto al fatto che molte donne, anche se si accorgono di avere qualcosa, hanno ancora un po’ paura a farsi vedere, di andare negli ospedali… poi in questi due anni c’era il Covid, c’era la paura di prendere il contagio, oppure avevano paura di subire in intervento mutilante o di dover fare delle terapie molto forti e quindi aspettavano fino a quando ad un certo punto non potevano fare a meno di farsi vedere. Ne vedo ancora tutti i giorni di casi come questi purtroppo.
Per fortuna con le terapie nuove siamo in grado di curare anche le malattie avanzate, addirittura malattie che hanno già localizzazioni in altri organi, parliamo dei tumori così detti metastatici. Con queste nuove terapie sia ormonali associate agli inibitori delle cicline, sia le terapie target con gli anticorpi monoclonali, siamo in grado di curare in maniera adeguata queste malattie… ancora si parla raramente di guarigione (anche se qualche caso c’è stato) ma comunque si possono controllare per tanti e tanti anni e questo è un dato molto positivo rispetto al passato. E’ opportuno andare a farsi vedere e farsi curare. L’ideale sarebbe fare una diagnosi quando il tumore è iniziale, perché questi tumori qua guariscono sempre ed è per questo che è importante fare gli esami.
La pandemia che impatto ha avuto?
Abbiamo perso tempo e siamo tornati indietro rispetto ai risultati che avevamo raggiunto sulla diagnosi precoce. Lo screening si è fermato, nel senso che inizialmente è stato proprio chiuso di default perché tutte le risorse dovevano essere dedicate al covid (parliamo di inizio 2020 quando non è che ci fosse molta scelta, eravamo in piena pandemia e la gente moriva per le strade, quindi lì era logico…) ma anche quando sono stati aperti gli ospedali due o tre mesi dopo comunque tante donne hanno avuto timore di andare in ospedale - delle volte timore non del tutto ingiustificato perché non c’erano ancora i vaccini nel 2020 e quindi qualche contagio in ospedale ci poteva anche essere - però anche nel 2021 quando tutto il personale è stato vaccinato e gli ospedali sono diventati dei luoghi assolutamente sicuri, ancora si è fatta un po’ fatica a partire. Adesso vedo tutti i giorni persone che vengono a fare lo screening e siamo ritornati alla normalità.
Cosa si intende per prevenzione?
Parliamo di prevenzione primaria, ovvero riduzione il rischio di ammalarsi. Abbiamo diversi studi che fanno vedere come lo stile di vita è importante: tenere d’occhio il peso corporeo, evitare il sovrappeso, fare corretta e costante attività fisica tutti i giorni (che non vuol dire fare le maratone, ma camminare per mezz’ora al giorno), ridurre al massimo il consumo di alcohol che è particolarmente dannoso, evitare di fumare (perché anche il tumore della mammella è stato messo in relazione al fumo di sigaretta). Gli stili di vita corretti potrebbero evitare il rischio di ammalarsi almeno di un quarto, quindi non poco! Quello che possiamo fare in più però è la prevenzione secondaria, cioè ridurre il rischio di morire per questa patologia e che vuol dire fare la diagnosi precoce, da qui l’invito a tutte le donne a partire dai 35 anni a fare un’ecografia su base annuale e una mammografia dai 40 anni sempre su base annuale. Per tutte le donne che invece appartengono alle categorie così dette “a rischio” occorre fare dei controlli molto più stretti che prevedono l’ecografia ogni 6 mesi, la mammografia ogni anno e anche una risonanza magnetica della mammella una volta l’anno. In questo modo riusciamo a stare ragionevolmente tranquilli. E’ chiaro che gli esami non impediscono di ammalarsi, però consentono di fare una diagnosi precoce e di guarire con la quasi certezza. Molte donne che hanno passato questa patologia vengono etichettate come pazienti oncologiche come se fosse una cosa che dura per tutta la vita, in realtà nella maggior parte dei casi non è così, è - chiamiamolo - un episodio acuto (come l’appendice che poi te la togli…). Se il tumore è piccolo, all’inizio, si toglie, poi magari si fa qualche anno di cura e basta, te lo dimentichi, non sei più un paziente oncologico, sei una persona che ha avuto il tumore e poi fa la sua vita normale come tutti gli altri.
Quali sono i prossimi obiettivi?
Credo che si stiano delineando due orizzonti: i tumori molto piccoli in donne che non hanno altri fattori di rischio e non hanno una malattia pluricentrica, quindi tumori molto piccoli, scoperti per tempo con ecografia e mammografia, se non ci sono alterazioni genetiche ecc, si possono curare con un intervento minimante invasivo, con una chirurgia mirata, con una localizzazione pre-operatoria, un’incisione piccola, una cicatrice praticamente invisibile, senza togliere i linfonodi ascellari perché possiamo fare solo il linfonodo sentinella (e in un futuro prossimo forse non ci sarà nemmeno più bisogno di questo) e quindi questa è una categoria… poi ci sono i tumori policentrici, oppure le donne ad alto rischio, o donne che comunque hanno bisogno di un intervento più radicale; in questi casi possiamo fare un intervento che è preventivo e curativo al tempo stesso perché possiamo togliere completamente la ghiandola mammaria - cioè sfilare la ghiandola mammaria (addirittura a volte anche con una chirurgia robotica) attraverso una piccola incisione del cavo ascellare - e sostituire questa ghiandola con una protesi sottopelle davanti al muscolo pettorale con un risultato estetico assolutamente naturale, eliminando così anche il rischio per il futuro. Questo è quello che facciamo, ad esempio nelle donne con la mutazione genetica, in queste mastectomie che noi chiamiamo proprio “profilattiche” perché viene asportata la ghiandola e sostituita con la protesi. Altro obiettivo che stiamo raggiungendo è quello di fare sempre più terapie prima dell’intervento chirurgico. Abbiamo visto che c’è una certa categoria di tumori - quelli che non hanno recettori ormonali, triplo negativi, i tumori che hanno questo antigene HER2 positivo - che possono a volte addirittura scomparire semplicemente con una terapia medica, che non è una terapia semplice (è una chemioterapia oppure una terapia biologica con anticorpi monoclonali) però è una terapia che fa parte del percorso terapeutico in ogni caso e - se noi la anticipiamo prima dell’intervento chirurgico - a volte il tumore sparisce. Possiamo anche immaginare, in un futuro non lontano, che in alcuni casi si potrà addirittura evitare del tutto l’intervento chirurgico.