Grazie ad un mix tra genomica e big data, ricercatori dell’università di Trento sono stati in grado di valutare l’utilità dell’Ibrutinib nella cura della patologia che colpisce circa il 35% degli ultracinquantenni
La sindrome metabolica, che come riporta il sito della Fondazione Veronesi è detta anche sindrome da insulino resistenza, è una combinazione pericolosa di alcuni fattori di rischio cardiovascolare che, correlati tra loro e in presenza di valori del sangue anche solo leggermente fuori dalla norma, possono dare origine ad una situazione che pone ad alto rischio di diabete di tipo 2, infarto e di ictus ogni individuo. Patologia che nei Paesi occidentali colpisce circa il 30% degli uomini e circa il 35/40% delle donne (in cui dopo la menopausa ha una prevalenza più elevata), la sindrome metabolica può essere un fattore scatenante anche per la formazione di diverse tipologie di tumori, come quello della mammella, della prostata, dell'ovaio, del pancreas, del fegato, del rene e persino del cervello. Ora, grazie alla scoperta dei ricercatori del centro Cosbi e del Dipartimento Cibio dell’università di Trento, che hanno mischiato genomica e big data, è stato possibile stabilire che un farmaco già presente sul mercato, l’Ibrutinib, usato in origine per trattare tutt’altre malattie, può essere sfruttato per la cura della sindrome metabolica, risultando prezioso per aumentare tempi e possibilità di cura.
L’approccio del riposizionamento
Nel loro studio, pubblicato sulla rivista internazionale Nature Communications, gli scienziati hanno analizzato i farmaci esistenti e, in particolare, le loro proprietà molecolari attraverso un nuovo algoritmo messo a punto al Cosbi (Fondazione The Microsoft Research - University of Trento Centre for Computational and Systems Biology) per determinare se fosse possibile applicarli anche per altri tipi di patologie. Si tratta di un approccio, si legge sul sito di UniTrento, noto come ‘riposizionamento’ o ‘drug repurposing’, già studiato in passato ma diventato oggi realtà.
Una nuova applicazione
A spiegare i risvolti della loro ricerca ci ha pensato Enrico Domenici, presidente del Cosbi, il quale ha raccontato come il nuovo algoritmo per cercare nuove terapie per la sindrome metabolica, condizione che si verifica quando si combinano obesità, incremento dei livelli di colesterolo e di trigliceridi, ipertensione arteriosa e il diabete, sia stata possibile individuando i geni mutati responsabili di queste alterazioni. “Abbiamo cercato nelle banche dati farmaceutiche molecole già registrate che possano interagire con i network che questi geni formano nel tessuto adiposo, nel fegato e nei muscoli. Per eseguire una ricerca tanto complessa abbiamo impiegato un nuovo approccio computazionale che misura la ‘distanza’ tra le proteine con cui interagisce il farmaco e quelle presenti nei network coinvolti nella malattia. È così che abbiamo scoperto una nuova possibile applicazione in un farmaco già presente sul mercato. Si tratta dell’Ibrutinib, usato in origine per trattare tutt’altre malattie, come la leucemia linfatica cronica”, ha spiegato Domenici.
La verifica sugli zebrafish
Una volta eseguita questa analisi computazionale, è avvenuto il processo di verifica presso il Cibio, specializzato invece in biologia e genomica, su larve di zebrafish per testare la risposta effettiva al farmaco. Il risultato è stato incoraggiante, come spiega Maria Caterina Mione, responsabile del laboratorio: “Con la somministrazione di questo farmaco in laboratorio abbiamo avuto prova di come sia possibile arginare gli effetti devastanti dell’obesità indotta da una dieta ricca di grassi. Il farmaco infatti è riuscito a contrastare l'infiammazione che accompagna l’accumulo di lipidi”. Il giudizio degli esperti è dunque incoraggiante: “Testare l'efficacia di un farmaco già in commercio permette di saltare tutta una serie di passaggi lunghi e impegnativi che sono necessari prima di immettere un nuovo prodotto sul mercato, dato che la tolleranza e la sicurezza del farmaco sono già garantiti a monte”, ha concluso l’esperta.