In Evidenza
Altre sezioni
altro

Dalla sonnolenza all’obesità, i sintomi per riconoscere la narcolessia

Salute e Benessere
Foto di archivio (Getty Images)

Scienziati ed esperti hanno elencato le prime avvisaglie della patologia che in Italia colpisce 20-25mila persone. I suoi effetti possono avere rilevanti conseguenze sociali 

Condividi:

Sonnolenza, cedimenti muscolari improvvisi pur restando coscienti, aumenti di peso fino all’obesità e paralisi nel sonno. Sono questi i segnali per riconoscere la narcolessia, una malattia autoimmune, che in Italia, secondo recenti stime, colpisce circa 20-25mila persone. A illustrarli, sotto forma di ‘red flags’, ossia bandierine rosse, sono stati scienziati ed esperti che si sono riuniti presso l'ospedale Bellaria di Bologna per fare il punto su questa patologia, ancora misteriosa e difficile da diagnosticare.

In Italia mille pazienti hanno ricevuto diagnosi di narcolessia

Come spiega Giuseppe Plazzi, docente di Neurologia all'Università di Bologna e presidente dell'Associazione italiana di medicina del sonno, al giorno d’oggi sono solo mille i pazienti italiani che hanno ricevuto una diagnosi di narcolessia e che attualmente seguono un trattamento specifico, ma si stima che le persone affette dalla patologia siano in realtà molte di più. Da questi numeri nasce la necessità di istruire i medici sulle "red flags”, che facciano scattare un campanello d'allarme tempestivo su determinati sintomi. Inoltre, da poche settimane gli esperti hanno un aiuto in più: grazie all’Istituto superiore di sanità, è stato infatti redatto il primo registro nazionale della narcolessia.

Effetti socialmente impattanti

La narcolessia è una malattia che si verifica quando il sistema immunitario produce in modo incontrollato alcuni linfociti T, che vanno a distruggere il neurotrasmettitore ipocretina - noto anche come oressina -, indispensabile al mantenimento della veglia attiva. A scoprire il meccanismo che causa questo disturbo sono stati i ricercatori dell’Istituto di ricerca in Biomedicina di Bellinzona, in collaborazione con il Politecnico di Zurigo e il Dipartimento di Neurologia dell’Inselspital di Berna. “Questi linfociti autoreattivi - spiega la professoressa Federica Sallusto - possono causare un’infiammazione che porta al danno neuronale o addirittura uccidere i neuroni che producono l’ipocretina. Bloccandoli nelle prime fasi - conclude - si potrebbe prevenire la progressione della malattia”.
La patologia può essere scambiata per epilessia o depressione ed i suoi effetti, soprattutto se non diagnosticata, possono avere rilevanti conseguenze nella vita sociale di chi ne soffre, causando difficoltà nell'apprendimento, possibilità di incidenti, di errori, di perdita del lavoro e di relazioni.