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La rabbia, da molla evolutiva a problema sociale. Ecco come gestirla

Salute e Benessere

Stefania Leo

La parola è l'elemento chiave per imparare a gestire in modo migliore la rabbia (foto di repertorio - Getty Images)

Questo sentimento fondamentale ha permesso lo sviluppo del genere umano, ma oggi rischia spesso di diventare motivi di crisi relazionale. Il professor Alfio Maggiolini spiega come gestire questo sentimento e le sue conseguenze

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La mascella che si contrae, i pugni che si stringono: l'accesso di rabbia è dietro l'angolo. Ogni giorno situazioni stressanti in ufficio, al volante o in coda al supermercato costringono gli esseri umani a misurarsi con una delle emozioni più importanti per l'uomo. La rabbia infatti ha permesso alla specie umana di evolversi. Ma ora che funzione ha e, soprattutto, come fare a gestirla? Secondo Alfio Maggiolini, psicologo e psicoterapeuta dell'istituto Minotauro, professore di psicologia del ciclo di vita presso l'Universita Milano Bicocca, nonché autore del volume “Senza paura, senza pietà” (Raffaello Cortina) la chiave è una sola: parlare.

Cos'è la rabbia

La rabbia è una delle emozioni di base provate dall'uomo. Come sostiene Tiffany Watt Smith nel libro "Atlante delle emozioni umane" secondo alcuni psicologi evoluzionisti il numero di emozioni di base varia tra sei e otto, considerate "fondamentali". Tra queste Smith elenca: il disgusto, la paura, la sorpresa, la rabbia, la felicità e la tristezza. Si crede che queste espressioni emotive siano fondamentali perché sono reazioni evolutive a situazioni universali. Ad esempio, mentre il disgusto ci serve per manifestare il pericolo di una sostanza velenosa ingerita per errore, la rabbia è la manifestazione del sentimento di minaccia e attacco che un essere umano percepisce. “La rabbia ci aiuta a difenderci dai nemici – spiega il professor Maggiolini, che spiega anche quali sono le tipiche reazioni dell'uomo a questa sensazione –. Quando una persona si sente minacciata o attaccata, può fuggire, sottomettersi alla persona che minaccia, oppure reagire rabbiosamente”. Gli psicoterapeuti oggi sono più interessati a scoprire da dove provenga la rabbia. Può essere una reazione comune al dolore che dà l'essere criticati o lo scoprire di esser stati trattati ingiustamente

Cosa significa gestire la rabbia

Manifestare la rabbia volontariamente però è un conto. A volte è necessario gestire questa emozione, per continuare a relazionarsi agli altri. Secondo Maggiolini il termine gestione della rabbia “implica l'idea che ci sia una competenza specifica nel controllo delle emozioni e che questa competenza sia progressivamente acquisita nel processo evolutivo”. Per questo, un bambino impara a rendere i capricci più produttivi nel corso del tempo. “È auspicabile nell'età adulta una certa temperanza emotiva, una sorta di capacità di controllo – spiega l'esperto – Da un punto di vista evolutivo c'è una naturale progressione della gestione della rabbia: non si tratta di inibirne l'espressione, ma di verbalizzarla, esprimendo l'emozione con le parole e non in modo fisico o distruttivo”. Quindi gestire la rabbia significa prendere questa emozione primaria e farla entrare in un dialogo interlocutorio con l'altro. Solo in questo caso questa emozione può essere funzionale alla vita umana. “Inibire la rabbia invece fa molto male e non significa gestirla”, sottolinea lo psicologo.

Come gestire la rabbia nei bambini

“Se si osserva la rabbia nel bambino, bisogna capire prima di tutto da cosa il bambino si sente minacciato, qual è la situazione che ha prodotto la reazione – puntualizza Maggiolini -. Spesso nei bambini per minaccia si può intendere anche un senso di frustrazione”. In quel caso una reazione aggressiva del genitore può aumentare lo spavento: questo comportamento, oltre ad aumentare il sentimento nel bambino, può anche trasmettere un modello di comportamento secondo cui la rabbia funziona come metodo di gestione dei conflitti e delle relazioni. “Stare calmi e dunque provare a verbalizzare la questione” è la strada da seguire secondo lo psicoterapeuta. Se l'ira si impadronisce del genitore (“perché tutti possiamo avere un momento no”, precisa lo specialista), è bene che se ne parli anche in un momento successivo. Altre cose da evitare con i più piccoli: ritenere la rabbia immotivata e quindi attribuirla al carattere del soggetto e non alla situazione (evitare dunque frasi come "sei tu che ti arrabbi"); attribuire le reazioni a intenzioni che sono nella testa dell'adulto più che in quella del bambino (nel caso di genitori separati, evitare espressioni come “ti arrabbi come tuo/a padre/madre”).

Come gestire la rabbia negli adulti

In virtù di un processo evolutivo già assimilato, l'adulto dovrebbe essere in grado di esprimere la rabbia in modo “verbale, interlocutorio, finalizzato alla gestione delle situazioni, in modo meno diretto e distruttivo possibile - sottolinea Maggiolini -. Se un adulto non è in grado di tenere il controllo e capire cosa sta succedendo per gestire la situazione, verbalizzando la rabbia, può darsi che l'individuo non abbia fatto sua questa capacità. I bambini esprimono questa emozione in modo diretto e non articolato perché non hanno altri modi di gestirla. Gli adulti invece dovrebbero saperlo fare”. Nei casi di violenze sociali, come l'omicidio del 25enne avvenuto a Bitonto per una lite in strada, si scorgono i segnali di una mancata elaborazione dell'emozione. “In situazioni simili può esserci il concorso di sostanze stupefacenti, che spingono a mettere in pratica la reazione rabbiosa in modo fisico e tragico”, sottolinea l'esperto. In caso di reazioni estreme, la persona vive la situazione come se fosse una minaccia estrema. Questo pericolo non è sempre legato alla sopravvivenza, ma anche all'immagine di sé, alla propria identità sociale, al proprio orgoglio: motivazioni alla base del femminicidio. “Mentre in passato il dominio maschile era culturalmente sostenuto e giustificato, oggi la situazione si è modificata e questa condizione ha anche cambiato l'idea di relazione di coppia a cui non tutti riescono ad adeguarsi. Quindi, per certi aspetti, l'uomo può sentirsi un po' più fragile e bisognoso dell'appoggio della propria partner. Per questo la violenza sulla donna è a volte una reazione alla minaccia all'autorità maschile, ma anche alla paura dell'abbandono”, osserva Maggiolini.

Come gestire la rabbia del partner

La rabbia è anche una delle emozioni che spesso minano i rapporti di coppia. Gestirla significa “capire la parte di ragioni che può avere l'altro, che non significa però diventare accondiscendenti – specifica l'esperto -. Quindi bisogna comprendere la minaccia corrispondente (abbandono, perdita di potere...) e vedere se si riesce ad andare oltre la reazione emotiva immediata, trovando spazi di rielaborazione verbale”. Ma se i litigi sono continui, che fare? “In questo caso si deve ragionare sulle questioni di fondo che alimentano la situazione di conflitto, per capire se le si può gestire non solo lavorando sulle modalità espressive ma anche sul meccanismo di fondo. Se una moglie sente che il marito non l'appoggia nel suo essere madre, questo può creare una base per litigi e tensione. I litigi magari sono banali, ma sono espressioni di una dinamica di fondo da rielaborare magari attraverso una terapia di coppia”. Il consiglio è valido anche per la dinamica genitori-figli adolescenti.

Come gestire la rabbia altrui

Infine, c'è la rabbia sul posto di lavoro. In questo contesto, a fare la differenza, sono i contenitori organizzativi in cui si gestiscono le relazioni tra le persone. “Ci sono le relazioni istituzionali, ma ci sono anche i momenti istituzionali in cui si possono riprendere situazioni in cui ci si è arrabbiati e discuterne – puntualizza Maggiolini -. Se l'istituzione è sana, c'è la possibilità di gestire conflitti in modo meccanico e organico. Se l'istituzione non funziona bene (cioè non rispetta gerarchie e non offre momenti di confronto, bisogna arrivare a rimettere in campo le capacità personali per gestire il problema relazionale”. Cosa fare invece quando il capo si arrabbia? “In primo luogo, capiamo se c'è davvero un errore o delle preoccupazioni di fondo (in quel caso la minaccia non viene dall'impiegato, ma dall'esterno) – spiega il terapeuta -. La cosa importante è evitare l'escalation, specie in presenza di una differenza gerarchica di potere”.