La scommessa sul governo

C’è chi lo dà per certo, chi non lo esclude, chi assicura che non succederà mai, ossia che non ci sarà una fine anticipata del governo di Giorgia Meloni. Sembra un po’ assurdo parlare della caduta dell’esecutivo in un momento in cui tutto sembra andare a gonfie vele, con gli ultimi sette giorni particolarmente ricchi di messaggi in questo senso. La testata “Politico”, punto di riferimento della bolla di Bruxelles, guardando al 2025 ha designato Giorgia Meloni, leader più potente d’Europa. Di sicuro le tante incognite di Francia e Germania, la Spagna con il suo governo sempre sul filo del rasoio, la fanno apparire come una delle figure più stabili del Vecchio Continente. Trump e l'energia di Meloni A Parigi ha poi visto Trump, ha ricevuto l’invito per l’Inauguration day del 20 gennaio, il presidente eletto le ha dedicato due endorsment come solo lui sa fare. Il primo : “Siamo andati d’accordo alla grande, Meloni è’ piena di energia”. Il secondo: “ è’ una leader ed una persona fantastica”. Se dovessimo applicare l’equazione per cui il feeling con la Casa Bianca è garanzia di lunga vita, potremmo chiuderla qui e risentirci nel 2027. Invece, nonostante questo, tanto in parlamento quanto nei salotti che contano, ci si interroga su quanto durerà il governo. Vale la pena cercare di capire perché, declinando il ragionamento secondo i 3 punti di vista che anticipavano all’inizio. Scenario 1: schiacciati dalla crisi economica Chi da per certo che Meloni non arriverà a fine corsa, non si lascia impressionare dalle “dichiarazioni d’amore” del futuro inquilino della Casa Bianca. Si Ricorda il famoso “Giuseppi” dedicato a Conte, sottolineando come quell’intesa - ostentata anche in maniera un po’ goffa - non abbia inciso sulla parabola politica del leader dei Cinque stelle. I “sicuri del default meloniano” spiegano che Trump è uomo di mondo, ama l’Italia - su cui sa di poter contare indipendentemente dal governo di turno - e sono convinti che quelle parole sarebbero state spese, con enfasi più o meno accentuata, anche se al governo vi fosse stato qualcun altro. Chi non ha dubbi sulla fine anticipata del governo, punta tutto sulla congiuntura negativa che sta per attraversare il nostro Paese e l’Europa. L’economia fa fatica. Le imprese sono in difficoltà. Nel 2025 si stimano la chiusura di decine di fabbriche e fabbrichette. Non ci sono solo gli stabilimenti Stellantis e Beku, ma una rete di piccole e medie imprese che rischiano di saltar per aria. Basti pensare alla filiera dell’’automotive, legata a doppio filo a quanto accade in Germania. Per ogni sciopero o crisi tedesca, ci sono decine di aziende italiane che vivono una contrazione. Discorso simile - giusto per fare un altro esempio - vale per il comparto biomedicale. La scarsa competitività italiana sta portando a drastici ridimensionamenti. Per non parlare del payback sanitario, un folle sistema di storno, che chiama le aziende private a colmare i buchi di quelle amministrazioni pubbliche che perdono il controllo della loro spesa sanitaria. Si parla di miliardi di euro, che al momento dell’incasso farebbero chiudere una azienda su cinque. C’è poi il tema dei salari, che riguarda tutti, anche coloro che non rischiano di perdere il posto. Stipendi e pensioni non crescono da decenni, con il potere d’acquisto che parallelamente si riduce. Per i cultori delle elezioni anticipate tutto questo manderà in subbuglio il paese. Le proteste fioriranno, la maggioranza giocherà allo scaricabarile reciproco e alla fine tutto crollerà. Come antipasto di questo scenario segnalano già le manifestazioni di questi giorni di taxisti ed Ncc, la raffica di scioperi e precettazioni, i poliziotti che avevano votato Meloni e che ora - davanti al portone di Palazzo Chigi - non sanno spiegarsi il perché di una tredicesima più esigua rispetto a dodici mesi fa. Se dovesse accadere tutto ciò, Giorgia Meloni tenterebbe il tutto per tutto in una nuova partita elettorale. Dopo due anni e mezzo di governo e tre leggi di bilancio, non sarebbe una passeggiata. Scenario 2: salta il Pnrr, Meloni stacca la spina Ci sono poi quelli che ritengono improbabile la caduta del governo, ma non impossibile. Interessante notare come anche loro concordino sulle nubi all’orizzonte che attendono la nostra economia. Ma se il governo cadrà, sono sicuri che non sarà né per questo, né per tumulti di piazza, ma per una scelta politica della stessa Meloni. Una sorta di mossa del cavallo da giocarsi prima che il paese possa arrabbiarsi con Lei. Cosa potrebbe spingerà ad una scelta di questo tipo ? Vengono tratteggiati tre ulteriori sotto-scenari. Il primo è tutto politico. La maggioranza sta bene ma non benissimo. Salvini e Tajani continuano a litigare su quasi tutto. La crisi dell’uno, unita alle ambizioni dell’altro, potrebbe portare a scelte imprevedibili o comunque diventare troppo logorante per il governo e per Meloni stessa. Più conveniente quindi creare un incidente, andare tutti a casa, con la premier che a quel punto proverebbe ad inghiottire il più possibile dell’attuale centro destra. Il secondo caso sarebbe, invece, legato alle regole europee. Se non ci fossero deroghe all’attuale patto di stabilità, se non si riuscisse a portare a casa una dilazione delle scadenze del Pnrr, il rischio di imporre sacrifici pesanti ai cittadini sarebbe molto elevato. Piuttosto che rendersi altamente impopolare, rischiando la fine di Renzi, meglio staccare la spina e riproporsi all’insegna di una certa “verginità”. Terzo caso, forse il più realistico tra tutti, è legato al rischio di un fallimento del Pnrr. Inutile negare che, al netto delle statistiche e delle percentuali, l’Italia abbia un problema: non riesce a spendere. Ad oggi siamo riusciti a far fruttare solo un terzo delle risorse che avremmo già dovuto impiegare. Pensare davvero di poter chiudere il piano al 2026 è un’utopia. Il Pnrr è materia davvero complessa. Le regole non sono quelle dei normali fondi europei: l’Italia prendeva 100, spendeva 40, restituiva 60. Con il Recovery plan, se prendi 100 e spendi 40, alla fine devi restituire 110. Sono prestiti. Alla pari di un mutuo non pagato. Volgarizzazione della questione che fa capire, però, il bivio di fronte al quale Meloni si ritroverebbe: o l’Europa viene incontro all’Italia spostando la scadenza del piano, oppure il paese si ritroverebbe davvero in difficoltà. Sarebbero necessarie manovre lacrime e sangue, nel vero senso della parola. Una sorta di effetto troika, quella evitata per un soffio durante la crisi del 2011. A quel punto meglio lasciare la patata bollente ad altri . Anche in questo caso un incidente parlamentare, il governo che cade, chi vivrà vedrà. Scenario 3: Meloni come Atreju, vincerà sulle forze del Nulla E siamo così arrivati al terzo e ultimo gruppo d’opinione, quelli per cui è certo che Meloni arriverà a fine legislatura. Sono quelli di Atreju, i suoi colonnelli, i fedelissimi. Sono convinti che Meloni riuscirà a sistemare tutto, tenere a bada gli alleati, convincere l’Europa a sostenere la via italiana, far brillare - cantiere dopo cantiere - tutti i progetti del Pnrr. Per loro Meloni è proprio come Atreju. Il figlio di tutti, che combatte contro le forze del Nulla, contro un nemico che logora la fantasia, consuma le energie, la spoglia di valori e ideali”. Meloni combatte, e vince. Senza bisogno di andare a casa, o mandare a casa qualcuno. Sperando che non rimanga solo un discorso fantastico.

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