Ius scholae, soli e culturae: guida al dibattito sulla cittadinanza

Saranno state le Olimpiadi, sarà stato il vuoto placido agostano: da settimane la legge sulla cittadinanza è al centro del dibattito politico a mezzo stampa, condito dagli screzi all’interno della maggioranza. Della riforma, in realtà, si parla da più di dieci anni. Ora c’è una nuova variabile: a dimostrare interesse per il tema – anzi, a farsi traino del dibattito – c’è uno dei partiti della coalizione di centrodestra, Forza Italia. Una guida pratica per orientarsi nella discussione. La legislazione in vigore L’attuale legge sulla cittadinanza è datata 1992, è vecchia più di trent’anni. Il presidente del Consiglio era Giulio Andreotti. Di base, il provvedimento lega il diritto di diventare cittadini al principio del cosiddetto ius sanguinis: ottiene alla nascita la cittadinanza italiana chi ha almeno un genitore italiano. È un sistema pensato per un Paese, l’Italia, fino a quel momento terra di emigrazione, più che di immigrazione. Infatti il “diritto di sangue” va oltre: entro alcuni paletti, la cittadinanza italiana può essere riconosciuta anche a chi abbia un avo italiano – non ci sono limiti di generazione – senza che abbia mai messo piede nella Penisola. Come spiega un rapporto della Fondazione Leone Moressa, che si occupa di studi sull’economia dell’immigrazione, “privilegiando il legame di sangue, si intendeva mantenere un legame con i figli degli Italiani emigrati in Argentina, Brasile, Stati Uniti o Australia”. Per un bambino straniero nato in Italia da genitori stranieri è più complicato: può ottenere la cittadinanza italiana, su richiesta, una volta compiuti i 18 anni di età e se ha sempre vissuto senza interruzioni nel nostro Paese. Nel percorso c’è un ostacolo aggiuntivo: la lentezza della burocrazia. Lo raccontano le testimonianze, e lo riconosce in un’intervista a Repubblica il presidente della regione Veneto Luca Zaia: “Raggiunti 10 anni di vita in Italia e la maggiore età, e pretesa la conoscenza della lingua italiana, bisogna velocizzare le procedure per ottenere la cittadinanza. In questo l’Italia è colpevole, perché chi fa domanda aspetta anche 3 o 4 anni”. Un cittadino straniero maggiorenne deve invece aver risieduto legalmente per almeno dieci anni in Italia e dimostrare requisiti di reddito 8.263 euro per richiedenti senza persone a carico; 11.362 euro per richiedenti con coniuge a carico. Da ultimo, ci sono i casi di cittadinanze acquisite tramite matrimoni o adozioni. Ius soli, ius scholae, ius culturae Di riformare la legge sulla cittadinanza si parla da più di vent’anni. Una data per rendere l’idea: la prima proposta sul tema fu depositata nel 2001 da Livia Turco, allora ministra per la Solidarietà del governo Amato. Le formule emerse nel tempo sono varie. Lo ius soli permette di ricevere la cittadinanza di un Paese, in automatico, se vi si è nati, a prescindere dalla provenienza dei genitori. L’esempio più famoso sono gli Stati Uniti. In Italia, la proposta che più si è avvicinata all’approvazione – dopo aver attraversato tre governi di centrosinistra dal 2013 al 2018 – prevedeva un misto di ius soli definito “temperato” e ius culturae. Con lo ius soli temperato potrebbe richiedere la cittadinanza italiana chi è “nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, di cui “almeno uno in possesso del permesso Ue per soggiornanti di lungo periodo”. Lo ius culturae, invece, riconoscerebbe il diritto alla cittadinanza ai minori stranieri che abbiano finito la scuola dell’obbligo . Successivamente, nel 2022 la misura venne riproposta da Pd e M5s con requisiti diversi e il nome di ius scholae: il testo prevedeva che la cittadinanza italiana fosse concessa – su richiesta – al minore straniero nato in Italia, o entrato nel Paese entro i 12 anni di età, dopo aver frequentato regolarmente almeno cinque anni di scuola. Il tentativo naufragato La riforma del 2013 – ius soli temperato e ius culturae – è l’unica che ha sfiorato l’approvazione definitiva. Alla base, peraltro, c’era una legge di iniziativa popolare presentata nel 2012 e frutto dal progetto "L’Italia sono anch’io". Il primo via libero era arrivato alla Camera nel 2015, durante il governo di Matteo Renzi. Avevano votato contro Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Astenuti i Cinquestelle. Poi però il testo era stato accantonato. Per due anni. Nessuna traccia fino al 2017, quando rimase incastrato nelle dinamiche di un governo di larghe intese che andava dal Pd al partito centrista Alternativa Popolare di Angelino Alfano, allora ministro degli Esteri. Proprio una dichiarazione di Alfano fu l’epitaffio del provvedimento: “Una cosa giusta fatta al momento sbagliato può diventare una cosa sbagliata". Il provvedimento concluse il suo percorso nell’aula semivuota del Senato, il 23 dicembre 2017, con la mancanza del numero legale necessario a rendere valida la seduta. Assenti tutti e 35 i senatori del Movimento 5 stelle, quelli del centrodestra e 29 senatori del Pd su 89. Le attuali posizioni Con la firma della vicecapogruppo alla Camera Vittoria Baldino, il M5s ha ripresentato una proposta di legge sullo ius scholae identica a quella presentata durante il governo Draghi in collaborazione con il Pd: prevede l'acquisizione della cittadinanza italiana per i minori nati in Italia o arrivati entro i dodici anni d'età, che abbiano frequentato la scuola per almeno cinque anni o percorsi idonei a conseguire una qualifica professionale. Nelle ultime settimane Forza Italia ha parlato spesso di ius scholae, ma entrando nel merito, il modello gradito al partito di Antonio Tajani è più simile a quello che in passato si è definito ius culturae: il ciclo scolastico, secondo i forzisti, dovrebbe durare dieci anni, quanto la scuola dell’obbligo. Nel Pd le proposte sono varie: le due firmate rispettivamente dai deputati Matteo Ordini e Laura Boldrini vertono sullo ius soli, ma più di un esponente del Partito democratico si è detto aperto a considerare un testo di compromesso, che legasse la cittadinanza agli studi. Infatti una terza proposta, depositata dal vicecapogruppo dem alla Camera Paolo Ciani, è identica allo ius scholae presentato dal M5s.