Italia-Usa, non sarà l'anno zero

Ci si domanda da più parti quale potrà essere il rapporto tra la destra italiana di governo e gli Stati Uniti d’America all’indomani delle presidenziali di novembre prossimo. Interrogativo legittimo, ma che non tiene conto della preoccupazione primaria incombente adesso nei piani alti di Palazzo Chigi così come negli interstizi del nostro “Stato profondo”: la sopraggiunta acefalia della prima potenza occidentale correlativa al passo indietro del presidente in carica Joe Biden a favore di Kamala Harris nella sfida contro Donald Trump. L’arco di crisi internazionale radicato tra l’Africa e l’Ucraina, e che vede in Israele il proprio epicentro sismico di hard power, ancora non consente riflessioni di lunga gittata su come si configurerà il paesaggio transatlantico autunnale Palazzo Chigi-Casa Bianca: questione di continuità istituzionale Proviamo a spiegarci meglio. In qualità di presidente del Consiglio, Giorgia Meloni può rivendicare un posizionamento inappuntabile in materia di politica estera culminato nel felice rapporto personale oltreché di sistema sia con Biden sia con la sua Amministrazione oggi alle prese con una morbida supplenza pre-elettorale. Al contempo, in qualità di leader della destra italiana ed europea, Meloni non fatica a rivendicare una special relationship con i Repubblicani del Gop, un rapporto ben risalente e che già nel 2019 vide l’allora presidente di Fratelli d’Italia presenziare all’appuntamento annuale del Cpac a Washington. In altre parole: non è tanto in questione la naturale collocazione globale nazional-conservatrice del principale partito di governo italiano quanto la necessità d’una garanzia di continuità istituzionale lungo l’asse tra Palazzo Chigi e la Casa Bianca, quale che ne sia l’inquilino o l’inquilina di riferimento. Il punto è che al momento gli Usa stanno vivendo una crisi di autocoscienza senza precedenti e tale da indebolirne la tradizionale, cogente presenza negli scenari di guerra più caldi. Così dimostra l’improvvisa apertura diplomatica del presidente ucraino Volodimir Zelensky; così, a maggior ragione, testimonia la solitudine belligena di Benjamin Netanyahu che in Medioriente rischia di riunire il blocco arabo-persiano in una guerra totale contro Gerusalemme. Tutto ciò mentre gli Stati Uniti continuano la silente manovra di disimpegno dal Mediterraneo per concentrare risorse belliche, materiali e umane nel quadrante indo-cinese. Una linea strategica destinata a rafforzarsi nel caso in cui Trump dovesse essere nuovamente eletto, ma che la stessa Harris non potrebbe modificare all’improvviso senza provocare un ulteriore disorientamento nella propria catena di comando politico-militare. Fedeltà atlantica Sicché la sfida della destra governativa si riduce nell’essenza alla riconferma d’una fedeltà atlantica sottolineata per paradosso dall’eterodossia di Matteo Salvini e dal suo pencolare tra un pacifismo di maniera sul fronte est europeo e un nostalgismo preventivo nei confronti del tycoon che già nel 2019 – in occasione del testacoda giallo-rosso del suo amico “Giuseppi” Conte – dimostrò al capo leghista una scarsa considerazione rispetto al sovranismo italiano. Oggi, in questa vacatio di leadership occidentale e nel pieno dei negoziati per la riconfigurazione della governance di Bruxelles, per Meloni è più conveniente esibire una neutralità attiva rispetto al voto di Washington e magari strutturare un partenariato commerciale con la Cina per rafforzarsi economicamente senza per questo rendersi sospettabile d’intelligenza con l’avversario pechinese. Dopotutto, la lingua di Trump è da sempre quella degli affari interni e contempla clamorosi colpi di scena nei confronti dei suoi intermittenti bersagli; mentre la lingua di Harris colora semmai di multilateralismo arcobalenato e dialogante ciò che Trump e i nemici dell’Occidente hanno tinto di nera caligine negli ultimi anni . Una destra di sistema Non si tratta dunque di esibire illusorie forme di bizantinismo – Roma rimane al fianco degli Usa e d’Israele con poche sfumature, per lo più dettate dalla lungimiranza temperatrice del Quirinale – quanto piuttosto di mantenere sgombero il campo dagli equivoci e dai sospetti circa un velleitario richiamo della foresta sovranista. La nostra destra governativa è destra identitaria ma di sistema, perfettamente integrata in una rete internazionale che identifica nell’Italia un soggetto ineludibile nella proiezione del soft power euro-mediterraneo nonché uno dei più affidabili e generosi bastioni di peace keeping globale e peace enforcing regionale. Anche nel quadro d’un rinnovato, necessitato e ancora poco perscrutabile protagonismo isolazionista europeo, non sono previste modificazioni distoniche tra Roma e Washington.