Il reddito di cittadinanza e l’araba fenice

Politica

Massimo Leoni

La nuova puntata de "La Guida" di Massimo Leoni. Che ci aiuta a orientarci nel mondo della politica

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La verità è che nessuno ci tiene ad essere additato come colui o colei che uccise il reddito di cittadinanza. E così l’RDC rischia di essere l’araba fenice, capace di risorgere dalle sue ceneri e potenzialmente immortale. A palazzo Chigi sanno del pericolo. Messi in guardia dalla ministra del welfare, hanno scelto l’attesa. La fenice ha almeno ancora otto mesi di vita, in cui condurrà la sua esistenza normale, quella prevista da chi l’ha portata nel mondo del welfare italiano. Poi rinascerà, e alla fine potrebbe essere molto simile a prima, al netto del nome. (LA GUIDA DI MASSIMO LEONI - TUTTE LE PUNTATE)

Altro nome, altra vita

Che è la cosa più facile da cambiare e sarà cambiato. Potranno cambiare la platea dei beneficiari, i controlli, la parte relativa alle cosiddette politiche attive del lavoro. Tutte cose su cui aveva già puntato il dito il governo Draghi. Erano d’accordo quelli che sedevano a destra nella maggioranza, Forza Italia e la Lega. Salvini era addirittura tra quelli che il reddito lo avevano varato, insieme ai Cinquestelle, due o tre vite politiche orsono. Ed erano d’accordo a cambiarlo pure quelli che sedevano a sinistra. Il Pd che non l’aveva votato ma lo apprezzava, da quando Conte era diventato il punto di riferimento dei progressisti italiani. E addirittura i Cinquestelle: si erano accorti che quel figlio prediletto camminava un po’ storto e andava raddrizzato. E dato che sul reddito le piazze si riempiono facilmente, anche Fratelli d’Italia – da sempre contro – comincia ad usare maggiore cautela quando parla di araba fenice.

Occupabili e occupati

Ciò che non sarà più come prima, di sicuro, dicevamo, è il nome. Potrebbe essere, che so, fenicottero australiano. Quello che resterà, è il problema: trasformare i seicentomila da occupabili a occupati. Una volta c’era il mago Silvan, per queste cose. Ma non si vede in giro da un po’. Otto mesi, e sapremo.

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