Le parole sbagliate dell'Europa che non c'è più

Politica

Massimo Leoni

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Draghi, Moscovici, Oettinger: tutti contro l'Italia. Un attacco forse coordinato che, però, potrebbe rivelarsi un pessimo affare per Bruxelles

Ci risiamo. Un altro punto di minimo nei rapporti tra l’Italia e la Ue. Due commissari europei, Oettinger e Moscovici e il presidente della Bce, Mario Draghi, da una parte. Il governo, i vicepremier Luigi di Maio e Matteo Salvini, dall’altra. Oettinger – responsabile europeo del bilancio -risponde alle interrogazioni dei parlamentari italiani con supponenza e genericità, almeno secondo i deputati a Cinquestelle. Moscovici parla dell’Italia come un “problema per l’Europa”, dove – tra l’altro – vede aggirarsi tanti piccoli Mussolini, e si prende la risposta sdegnata di Di Maio (“toni inaccettabili”) e le male parole di Salvini, con tanto di pubblicità progresso per i collutori (“Il commissario si sciacqui la bocca”). Mario Draghi, poi. Forse mai – da presidente della Bce - così duro con il suo paese, su quelle parole che sempre cambiano riguardo le politiche economiche e che fanno danno all’Italia e, cosa più importante dal suo punto di vista, all’Europa.

La sintesi di tutto questo – mirabile – è di Calderoli, che mette tutto insieme, i commissari, il presidente, e pure l’Europarlamento che caldeggia sanzioni al sovranista Orbàn, e dice, dritto: “È l’Europa dei poteri forti contro quella dei popoli che non li sopportano più”. La sintesi è mirabile ma anche facile. Le parole dei commissari sono l’assist ideale per la magica e molto popolare interpretazione dell’ex saggio di Lorenzago. E cioè che l’Europa è contro l’Italia e gli italiani.

Il fatto è che ormai le parole non vengono più valutate per quello che significano. Per esempio, se sia vero che l’Italia può diventare un problema per sé stessa e per l’Europa. Se sia vero che tante parole e diverse facciano danno al paese, alle famiglie e alle imprese. Questo dubbio, che dovrebbe sorgere come un riflesso condizionato e meriterebbe una risposta attentamente motivata – qualunque essa sia – se lo pone ormai solo una sparuta (isolata?) minoranza di politici. Per la maggioranza di loro il riflesso condizionato, il dubbio, è un altro: come si fa a trasformare quelle parole in altrettanti strumenti di consenso presso il popolo. Beninteso, sempre sovrano.

Per questo bisogna stare sempre attenti alle parole. E applicare la vecchia regola: contare fino a dieci prima di pronunciarle. Vale per il governo italiano. Vale, forse a maggior ragione, per i commissari di un’Europa che forse già non c’è più. Anche grazie alle loro parole.

Consigli per l’ascolto: “Parole parole”, Mina e Alberto Lupo

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