Decreto del fare, il governo pone la fiducia. Il M5S insorge

Politica

La scelta dell'esecutivo a causa del mancato accordo sugli emendamenti. Il Movimento: "E' una dittatura governativa". Intanto il premier interviene, dopo i malumori e le spaccature, sul tema del finanziamento pubblico: "Non faremo passi indietro"

Il governo ha posto la questione di fiducia alla Camera sul decreto del fare. L'annuncio alla Camera è stato dato dal ministro dei Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini.
L'Aula inizierà a votare dalle 11:30 di mercoledì 23 luglio.
Alla base della scelta c'è il mancato accordo con i partiti per ridurre i 900 emendamenti presentati in aula.
E proprio sugli emendamenti ha annunciato battaglia il Movimento 5 Stelle, che si dice pronto a fare ostruzionismo: "Alla fine avevamo presentato otto-nove punti qualificanti di modifica al decreto del Fare, punti che avrebbero migliorato un testo pressoché impresentabile. Al governo, però, evidentemente non interessa affatto licenziare norme utili al Paese", hanno scrittto i deputati in una nota congiunta.

Finanziamento pubblico - Intanto Enrico Letta interviene sul tema del finanziamento pubblico, dopo una serie di indiscrezioni su presunte spaccature nel Pd e nel Pdl: "Non faremo passi indietro su abolizione finanziamento pubblico partiti - si legge in un tweet - Il ddl che abbiamo presentato è una buona riforma. Perché bloccarlo?". Il ddl del governo dovrebbe approdare alla Camera il 26 luglio.

Ecco perché il governo ha deciso di prendere in pugno la situazione tentando di serrare i ranghi e convocando, a sorpresa, un vertice di maggioranza (con il ministro Quagliariello e i relatori di maggioranza, tra gli altri).
L'obiettivo è cercare una linea comune, in caso contrario il premier Letta avrebbe già pronto il decreto legge, visto che gli emendamenti al testo presentati da Dem e pidiellini vanno in direzione opposta.

Il nodo sulla legge sull'omofobia -
Ma c'è anche un altro tema che scuote la maggioranza, ovvero il via libera in commissione Giustizia alla legge sull’omofobia. In una corsa contro il tempo per riuscire a portare il provvedimento nell’Aula della Camera entro il 26 luglio, nella tarda serata di lunedì 22 luglio è stato dato l'ok al testo dei relatori che estende la legge Mancino alle motivazioni di omofobia e transfobia. Ma lo scontro sugli emendamenti è solo rinviato.
Non solo, infatti, i cattolici del Pdl sono pronti all'ostruzionismo in Aula con una pioggia di proposte di modifica, ma lo stesso Pd (con il sostegno di Sel e M5S) chiederà di inserire nella legge l’aggravante di omofobia sulla quale non si è trovata una mediazione con il Pdl.
In commissione, in una seduta notturna che si è conclusa poco dopo le 23, i relatori Ivan Scalfarotto (Pd) e Antonio Leone (Pdl), ma anche il governo, hanno chiesto ai gruppi di ritirare tutti gli emendamenti.
Una richiesta cui Lega e M5S non hanno aderito. Ma le loro proposte di modifica sono state respinte. Ed è stato accolto solo l’emendamento dei relatori che introduce l’omofobia nella legge Mancino, con il sì di Pd, Pdl e Sel, il no di Lega e di Alessandro Pagano (Pdl) e l’astensione di Sc e M5S.

Il no dei cattolici del Pdl - I nodi aperti restano due: l’aggravante di omofobia, sostenuta dalla ‘maggioranza variabile’ Pd-Sel-M5S, e la richiesta dei cattolici (con diverse sfumature tra Pd, Pdl e Sc) di una norma di garanzia che tuteli l’espressione del dissenso e della libertà di opinione in ambito teologico o didattico.
Su questi punti lo scontro è spostato in Aula. Dove i cattolici del Pdl, fortemente contrari alla legge, già annunciano che ripresenteranno la valanga di emendamenti non esaminata in commissione.
Tutte circostanze che mettono in forte dubbio l’approvazione del testo entro l’estate. “Questo testo è il minimo che si potesse fare, ma contiene una grandissima novità, perché introduce i concetti di omofobia e transfobia nella legge italiana”, commenta Scalfarotto.

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