Compiuti i primi raid italiani in Nord Africa. La Lega: "Di male in peggio". Faccia a faccia tra Berlusconi e il Capo dello Stato, che ricorda come il Parlamento si sia già espresso sulla missione
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Si conclude con l'incontro tra Silvio Berlusconi e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, la lunga giornata che ha visto il primo raid degli aerei italiani in Libia e l'ulteriore strappo dei leghisti. Un'ora di colloquio durante la quale il Colle prende atto delle tensioni all'interno della maggioranza, ma ricorda che sulla missione italiana il Parlamento ha già espresso un suo voto con il quale bisogna essere coerenti.
Restano però i malumori del Carroccio. "Solo quattro parole: di male in peggio" aveva infatti commentato in mattinata Roberto Calderoli alla notizia che i caccia italiani stavano effettuando il loro primo bombardamento. Parole che scaldavano una scena politica già arroventata dalle parole di Bossi dei giorni precedenti e dagli attacchi de Il giornale di Sallusti al ministro Tremonti. E infatti, dopo la questione libica, all'incontro si è parlato di come il premier abbia intenzione di rafforzare la propria maggioranza. Il tema sul tavolo è il famoso rimpastino, ovvero la nomina di nuovi sottosegretari, pescati all'interno del gruppo dei Responsabili.
Il rimpastino - L'ultima volta che il tema era stato toccato, il 16 marzo scorso, alla vigilia della nomina di Francesco Saverio Romano al dicastero delle politiche agricole, aveva provocato alcune frizioni tra Berlusconi e il Colle. Questa volta pare che la questione rimpasto non abbia tenuto banco oltre un certo limite, sia per il fatto che il numero delle poltrone coinvolte nell'operazione non sfora i limiti posti dalla Legge Bassanini (e questo fu l'ostacolo su cui si registrò lo scorso mese l'inavvicinabilità delle rispettive posizioni), sia perché oggi al Colle premeva più che altro parlare dell'intervento in nord Africa. Inoltre, poco prima di salire al Colle, Berlusconi ha incassato un'importante liberatoria dai Responsabili, che hanno avuto modo di rassicurarlo: prima di ogni altra cosa viene la Libia.
Nuovi sottosegretari in arrivo - Non è un caso se al rimpastino sia dedicato solo l'ultimo capoverso del comunicato finale emesso dal Quirinale. Si legge: "Il Presidente del Consiglio ha preannunciato la prossima nomina di Sottosegretari in sostituzione di quanti hanno lasciato la compagine governativa". L'analisi della scelta delle parole rivela che non verrà riempita la casella di ministro delle politiche comunitarie vacante da oltre cinque mesi e che alla sostituzione dei posti vacanti di sottosegretario si provvederà in tempi brevi, magari immediatamente dopo il passaggio parlamentare sulla Libia. Berlusconi, ad ogni modo, lascia intendere di aver superato i problemi legati a questa fase della vita del governo.
Ultimo punto: nessun nome è stato fatto, né nel bene, né nel male. Particolare non privo di importanza, visti i precedenti più immediati di nomine ministeriali.
Attesa per il voto in Parlamento - Napolitano dovrebbe aver avuto gioco facile a ricordare che, sulla questione libica, lui si è speso in prima persona, persino di fronte all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. "Non si può restare indifferenti", aveva detto in quell'occasione, e appena due giorni fa aveva definito l'intervento dal cielo la "logica conseguenza" dell'impegno assunto di fronte alla comunità internazionale attraverso l'adesione al mandato contenuto nella risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza. Addirittura in quest'ultimo intervento aveva detto esplicitamente che i raid avrebbero avuto luogo "secondo la linea fissata nel Consiglio Supremo di Difesa da me presieduto e quindi confortata da ampio consenso in Parlamento". Ecco quindi il punto che Napolitano anche oggi ha messo in evidenza: la necessità di un ampio consenso in Parlamento. Soprattutto in vista del momento cruciale che potrebbe essere rappresentato dal voto, deciso per il 3 maggio, sulle mozioni presentate dalle opposizioni.
Messaggio al Manifesto - Anche su questo Napolitano si è speso in prima persona. Prima con un messaggio al "Manifesto", quotidiano capofila in questi giorni della sinistra che nutre più di un dubbio sull'uso dei Tornado; poi con un giro di telefonate alla sinistra rappresentata in Parlamento. Con Valentino Parlato, firma storica del "Manifesto", il Capo dello Stato si è detto "costretto a ripetere considerazioni che ha già dovuto fare in passato, anche prima di essere eletto alla residenza della Repubblica. L'articolo 11 della Costituzione, quello sul ripudio della guerra deve essere letto e correttamente interpretato nel suo insieme. E ha precisato: partecipando alle operazioni contro la Libia sulla base della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, l'Italia non conduce una guerra né per offendere la dignità di altri popoli, né per risolvere controversie internazionali; l'Italia risponde a una richiesta delle Nazioni Unite". Lo sancisce il secondo capoverso dell'Articolo 11, uno di quelli considerati intoccabili anche dai più accesi riformatori di queste settimane.
Invito alle opposizioni - Con le opposizioni Napolitano pare abbia auspicato la massima convergenza possibile su una mozione che trasmetta all'estero l'idea di un paese coeso e forte. Insomma, più uniti si è, anche oltre gli steccati, maggiore il sostegno che viene dato all'immagine dell'Italia di fronte ai suoi alleati. Ancora una volta, è esplicito il comunicato finale: "Il Presidente del Consiglio ha illustrato i motivi delle decisioni del governo sugli sviluppi della partecipazione italiana alle operazioni militari in Libia sulla base della risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e del voto già espresso dal Parlamento italiano". Mentre, da parte sua, "il Presidente della Repubblica ne ha preso atto richiamandosi alle posizioni espresse nel suo intervento pubblico del 26 aprile, in coerenza con gli indirizzi dell'ultima riunione del Consiglio Supremo di Difesa". Ha preso atto, ha ricordato, ha invitato. Gli sviluppi immediati della politica parlamentare non rientrano nelle sue competenze.
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Restano però i malumori del Carroccio. "Solo quattro parole: di male in peggio" aveva infatti commentato in mattinata Roberto Calderoli alla notizia che i caccia italiani stavano effettuando il loro primo bombardamento. Parole che scaldavano una scena politica già arroventata dalle parole di Bossi dei giorni precedenti e dagli attacchi de Il giornale di Sallusti al ministro Tremonti. E infatti, dopo la questione libica, all'incontro si è parlato di come il premier abbia intenzione di rafforzare la propria maggioranza. Il tema sul tavolo è il famoso rimpastino, ovvero la nomina di nuovi sottosegretari, pescati all'interno del gruppo dei Responsabili.
Il rimpastino - L'ultima volta che il tema era stato toccato, il 16 marzo scorso, alla vigilia della nomina di Francesco Saverio Romano al dicastero delle politiche agricole, aveva provocato alcune frizioni tra Berlusconi e il Colle. Questa volta pare che la questione rimpasto non abbia tenuto banco oltre un certo limite, sia per il fatto che il numero delle poltrone coinvolte nell'operazione non sfora i limiti posti dalla Legge Bassanini (e questo fu l'ostacolo su cui si registrò lo scorso mese l'inavvicinabilità delle rispettive posizioni), sia perché oggi al Colle premeva più che altro parlare dell'intervento in nord Africa. Inoltre, poco prima di salire al Colle, Berlusconi ha incassato un'importante liberatoria dai Responsabili, che hanno avuto modo di rassicurarlo: prima di ogni altra cosa viene la Libia.
Nuovi sottosegretari in arrivo - Non è un caso se al rimpastino sia dedicato solo l'ultimo capoverso del comunicato finale emesso dal Quirinale. Si legge: "Il Presidente del Consiglio ha preannunciato la prossima nomina di Sottosegretari in sostituzione di quanti hanno lasciato la compagine governativa". L'analisi della scelta delle parole rivela che non verrà riempita la casella di ministro delle politiche comunitarie vacante da oltre cinque mesi e che alla sostituzione dei posti vacanti di sottosegretario si provvederà in tempi brevi, magari immediatamente dopo il passaggio parlamentare sulla Libia. Berlusconi, ad ogni modo, lascia intendere di aver superato i problemi legati a questa fase della vita del governo.
Ultimo punto: nessun nome è stato fatto, né nel bene, né nel male. Particolare non privo di importanza, visti i precedenti più immediati di nomine ministeriali.
Attesa per il voto in Parlamento - Napolitano dovrebbe aver avuto gioco facile a ricordare che, sulla questione libica, lui si è speso in prima persona, persino di fronte all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. "Non si può restare indifferenti", aveva detto in quell'occasione, e appena due giorni fa aveva definito l'intervento dal cielo la "logica conseguenza" dell'impegno assunto di fronte alla comunità internazionale attraverso l'adesione al mandato contenuto nella risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza. Addirittura in quest'ultimo intervento aveva detto esplicitamente che i raid avrebbero avuto luogo "secondo la linea fissata nel Consiglio Supremo di Difesa da me presieduto e quindi confortata da ampio consenso in Parlamento". Ecco quindi il punto che Napolitano anche oggi ha messo in evidenza: la necessità di un ampio consenso in Parlamento. Soprattutto in vista del momento cruciale che potrebbe essere rappresentato dal voto, deciso per il 3 maggio, sulle mozioni presentate dalle opposizioni.
Messaggio al Manifesto - Anche su questo Napolitano si è speso in prima persona. Prima con un messaggio al "Manifesto", quotidiano capofila in questi giorni della sinistra che nutre più di un dubbio sull'uso dei Tornado; poi con un giro di telefonate alla sinistra rappresentata in Parlamento. Con Valentino Parlato, firma storica del "Manifesto", il Capo dello Stato si è detto "costretto a ripetere considerazioni che ha già dovuto fare in passato, anche prima di essere eletto alla residenza della Repubblica. L'articolo 11 della Costituzione, quello sul ripudio della guerra deve essere letto e correttamente interpretato nel suo insieme. E ha precisato: partecipando alle operazioni contro la Libia sulla base della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, l'Italia non conduce una guerra né per offendere la dignità di altri popoli, né per risolvere controversie internazionali; l'Italia risponde a una richiesta delle Nazioni Unite". Lo sancisce il secondo capoverso dell'Articolo 11, uno di quelli considerati intoccabili anche dai più accesi riformatori di queste settimane.
Invito alle opposizioni - Con le opposizioni Napolitano pare abbia auspicato la massima convergenza possibile su una mozione che trasmetta all'estero l'idea di un paese coeso e forte. Insomma, più uniti si è, anche oltre gli steccati, maggiore il sostegno che viene dato all'immagine dell'Italia di fronte ai suoi alleati. Ancora una volta, è esplicito il comunicato finale: "Il Presidente del Consiglio ha illustrato i motivi delle decisioni del governo sugli sviluppi della partecipazione italiana alle operazioni militari in Libia sulla base della risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e del voto già espresso dal Parlamento italiano". Mentre, da parte sua, "il Presidente della Repubblica ne ha preso atto richiamandosi alle posizioni espresse nel suo intervento pubblico del 26 aprile, in coerenza con gli indirizzi dell'ultima riunione del Consiglio Supremo di Difesa". Ha preso atto, ha ricordato, ha invitato. Gli sviluppi immediati della politica parlamentare non rientrano nelle sue competenze.