Camorra e usura, vittima anche l'ex calciatore del Napoli Bruscolotti

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Sono stati documentati nove casi di usura, commessi ai danni di imprenditori, costretti a pagare interessi variabili tra il 25% e il 40%

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A Napoli i carabinieri hanno eseguito 11 ordinanze di custodia cautelare nell'ambito delle indagini su un giro di usura gestito dalla camorra. Tra i destinatari del provvedimento, anche un carabiniere: nei suoi confronti si ipotizza il reato di corruzione. Adesso è ai domiciliari. Sono stati documentati nove casi di usura, commessi ai danni di imprenditori (tra i quali un ex calciatore del Napoli, l'ex difensore Giuseppe Bruscolotti, che cedette la fascia di capitano a Diego Armando Maradona), costretti a pagare interessi variabili tra il 25% e il 40%.

L'ordinanza

L'ordinanza, emessa dal gip presso il Tribunale di Napoli, su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia, vede gli arrestati accusati - a vario titolo - di usura, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, nonché detenzione illegale di armi comuni da sparo, aggravati dalla finalità di favorire il clan Baratto-Volpe, operante nel quartiere partenopeo di Fuorigrotta e rientrante nella sfera di influenza e controllo della cosiddetta "Alleanza di Secondigliano". 

Giuseppe Bruscolotti
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Per anni il carabiniere intascava mazzette da vari clan

Da quanto appreso, il luogotenente dei carabinieri G.B. avrebbe intascato per anni e anni le "mazzette" dei vari gruppi camorristici della zona. Tra il 2005 e il maggio 2007 avrebbe percepito cinquemila euro al mese dalle mani di un esponente di spicco del gruppo camorristico Puccinelli del Rione Traiano per fornire informazioni riservate circa le indagini e anche riguardo le operazioni di contrasto nei confronti dell'organizzazione camorristica. Non solo. Secondo gli inquirenti il carabiniere avrebbe anche omesso e ritardato i controlli e sequestri di droga nei confronti degli affiliati alla famiglia malavitosa dei Puccinelli. Tra il 2003 e il 2006 il carabiniere poi avrebbe intascato mensilmente denaro da diversi esponenti della camorra, e tra questi anche dal collaboratore di giustizia Gennaro Carra, ex esponente di spicco del clan Cutolo, anche questo del Rione Traiano di Napoli, oltre che, dal 2005 al 2021, da Antonio Volpe (1.500 euro), assassinato in un agguato scattato in messo alla folla di via Leopardi, il 15 marzo 2021, esponente di spicco del gruppo Baratto-Volpe (detto dei "Calacioni") di Fuorigrotta. Inoltre, è indagato anche un altro carabiniere che, secondo gli investigatori, avrebbe aiutato Bucolo G.B. a verificare, per conto di Gennaro Volpe (elemento di spicco dell'omonimo gruppo) a verificare la targa e tenere sotto controllo gli spostamenti di una vettura.

Pentito: "Arma che ferì agente affidata a carabiniere infedele"

Non solo. Perché secondo quanto racconta il collaboratore di giustizia Gennaro Carra, il carabinieri infedele ebbe un ruolo nelle fasi successive del ferimento di cui fu vittima il sovrintendente della polizia Nicola Barbato, colpito durante una sparatoria avvenuta nei pressi della stazione della Cumana di Fuorigrotta il 24 settembre 2015. La circostanza emerge dall'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Napoli Leda Rossetti. "In occasione degli spari commessi dal Rende Raffaele (condannato per questi fatti) contro i poliziotti a Fuorigrotta di fronte alla Cumana di Fuorigrotta - racconta Carra - posso dire che sono stato io a fornire la pistola, una calibro 9 corto. Il Rende dopo il fatto portò la pistola al Volpe (Antonio, vittima di un agguato tra la folla nel marzo 2021) e quest'ultimo chiamò G.B. per farla sparire. Andai dal Volpe per reclamare la mia arma, ma questi mi raccontò di averla affidata a lui. Io mi stupii che un carabiniere potesse arrivare a tanto, visto che quell'arma aveva sparato contro un poliziotto".

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